L'EDITORIALE DI MAURIZIO BELPIETRO
Uno dei miti alimentati dalla sinistra è di essere una buona amministratrice, ossia di saper governare con occhio attento ai conti, a differenza, è sottinteso, di quel che fa e ha fatto il centrodestra negli anni passati. Gli uomini del Pd sono disposti ad ammettere di aver fatto parte, con il precedente governo, di una maggioranza litigiosa, lenta e inefficace nell’affrontare la questione della criminalità, ma controbilanciano l’ammissione con l’oculatezza praticata quando si trattava di maneggiare soldi pubblici; il rigore economico avrebbe consentito di rimettere ordine nei conti dello Stato e di evitare la procedura per deficit eccessivo che l’Ue aveva aperto contro l’Italia. Un’immagine appena incrinata da quel che è accaduto nel Lazio nel settore della sanità (con qualche responsabilità anche del centrodestra) e in Campania, da sempre feudo di sinistra, dove sono stati letteralmente buttati via 2 miliardi di euro senza risolvere il problema della spazzatura.
Ora, però, la buona fama rischia di essere cancellata sotto l’onda delle cifre allarmanti che emergono dall’analisi del bilancio del Comune di Roma. Sembra scontato che il Campidoglio abbia almeno 7 miliardi di debiti, che secondo l’attuale maggioranza di centrodestra addirittura raggiungerebbero i 9. La situazione finanziaria è tale che fra gli esperti si discute apertamente se sia il caso di dichiarare il default, ossia il fallimento, commissariando il municipio così da impedirne l’assalto da parte dei creditori e il congelamento dei debiti.
Il disastro sarebbe causato dalle perdite accumulate dalle municipalizzate della capitale, Ama (nettezza urbana), Atac, Metro e Trambus (trasporti), ma anche dalle previsioni gonfiate su entrate fiscali e multe. Sta di fatto che nelle casse non sono rimasti che gli spiccioli e si valuta se sia il caso di far saltare manifestazioni come l’estate romana e la notte bianca, feste sulle quali l’ex sindaco Walter Veltroni aveva costruito la sua immagine piaciona di pubblico amministratore.
Indipendentemente da come verrà risolta la crisi finanziaria del maggior comune italiano, il caso suscita due riflessioni. La prima riguarda il ruolo dell’attuale segretario del Partito democratico. Egli aveva avuto gioco facile ad attribuire la responsabilità della sconfitta elettorale all’eredità lasciatagli da Romano Prodi e al basso indice di gradimento del precedente governo. Più complicato era stato spiegare la batosta subita da Francesco Rutelli, ma alla fine anche in questo caso era prevalsa l’idea di un errore nella scelta di un candidato, apparso più come un sindaco riciclato che come una vera risorsa per la città. Di fronte a un municipio lasciato sull’orlo della bancarotta, sarà difficile per Veltroni resistere, soprattutto in vista di una fronda interna che si fa sempre più forte e ambiziosa.
Ma al di là delle sorti del Pd, che pure sono fondamentali per l’esercizio di una democrazia, c’è una seconda riflessione e riguarda i meccanismi della finanza pubblica.
Com’è possibile che, in un paese nel quale la giustizia amministrativa e quella contabile vigilano su ogni aspetto della vita collettiva, nessuno si sia accorto del bilancio in rosso del Comune di Roma? E in che modo, soprattutto, si può evitare che amministratori spreconi, oppure anche solo semplicemente incapaci, portino l’ente loro affidato al fallimento?
Per le società quotate che impiegano il denaro dei risparmiatori, si pretendono la certificazione e il controllo dei bilanci; per i comuni e per le amministrazioni pubbliche, che maneggiano il denaro dei cittadini, invece non si pretende nulla. Documenti contabili garantiti forse potrebbero aiutarci a trarre bilanci più veritieri dell’azione di governi e giunte, facendoci guidare dai numeri e non dalle chiacchiere. Se ci fosse un obbligo di certificazione, probabilmente non scopriremmo con ritardo ciò che scrive il professor Luca Ricolfi nel suo ultimo libro Perché siamo antipatici (Longanesi editore), ossia che il risanamento economico di Romano Prodi è grosso modo quello che abbiamo ereditato da Giulio Tremonti nel 2006, con un problema in più: che «la Finanziaria per il 2007 ha consapevolmente e irresponsabilmente frenato la crescita e quella per il 2008 ha peggiorato i conti pubblici anziché migliorarli».
Insomma, caduto il mito della superiorità morale della sinistra, ora è vacillante pure quello della supremazia contabile.
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