DI GIULIANO FERRARA
Sull’abominevole scandalo della clinica privata Santa Rita, subito rinominata clinica degli orrori, si deve essere indignati al punto giusto ma anche prudenti. Il confine tra una seriale e frettolosa aggressività chirurgica e una cinica devastazione omicida dei pazienti, a scopo di lucro personale e aziendale, non è affatto chiaro. Di mostrificazioni immonde ne abbiamo viste tante, purtroppo sempre con la complicità della stampa e della neolingua cronistica indifferente alle distinzioni e ad accertamenti, specie in storie ad altissimo impatto emozionale come queste.
C’è molta voglia di sangue, a Milano. Molto attivismo della magistratura, in ogni campo e da molto tempo. Un attivismo spesso espressione di senso del diritto e della giustizia, talvolta invece figlio di una semplice e primitiva eruzione di radicalismo politico, di ideologismo e di furente moralismo. Altre volte ancora un sofisticato marchingegno per affermare il potere corporativo della casta togata.
Le intercettazioni tempestivamente sono tirate in ballo ed esibite come «il sistema di indagine che non fallisce mai» e che permette, a te cittadino inorridito, di impedire al medico cattivo di portarti via un polmone. Quanta grazia, Sant’Antonio, dopo la proposta del governo di varare un decreto che riduca gli origliamenti di Stato.
Può essere che abbiano ragione Roberto Formigoni e i difensori della sanità lombarda, che è considerata un modello in mezzo mondo, quando parlano di «comportamenti criminali» e rivendicano al potere pubblico regionale di avere attivato seri controlli, di avere la coscienza a posto. Può essere invece che siano entrati in funzione, e non solo alla clinica degli orrori ma in molte altre fabbriche della salute attualmente sotto inchiesta, difetti gravi del sistema dei rimborsi, di quel meccanismo di incentivazione alla superproduzione sanitaria che può diventare l’occasione per la trasformazione del medico chirurgo in un esoso rapinatore di polmoni a scopo di lucro. Secondo me lo scandalo è ancora più grave, più esteso e più duro da sanare.
Se per la vita non c’è rispetto istintivo, culturale, oltre che morale, etico, sociale, deontologico, perché mai un medico inserito nella fabbrica della salute dovrebbe rispettare il corpo, la sofferenza e la dignità dei suoi pazienti? Io ti opero in fretta, sciattamente, per un presunto tumore, e senza stare a fare troppi accertamenti, perché devo produrre salute rimborsata a pezzo, io sono chirurgicamente aggressivo perché mi pagano a cottimo per esserlo. Ma questo mio comportamento può calarsi in un luogo di cura, convivere con l’indifferenza degli altri, superare i controlli, essere difeso da atteggiamenti omertosi, insomma la storia della Santa Rita può diventare appena credibile come storia sociale della Milano di oggi, solo e soltanto se la vita non vale più gran che e la persona è considerata strumento, mezzo manipolabile.
La penso come il bravo vecchio oncologo Gianni Bonadonna, quando dice che la medicina è progredita ma molti medici non sanno più cosa sia la sofferenza, la persona che soffre. La penso come il bravo vecchio Papa che dice: abbiamo più potere tecnico, bisogna costruire un maggiore potere morale. Nella società dell’aborto di massa indifferente, in un mondo in cui ai neonatologi si dice di chiedere il nullaosta dei genitori prima di curare un neonato potenzialmente autosufficiente, negli stessi ospedali in cui si riverbera la psicosi eutanasica della società contemporanea, in una cultura medica che piano piano sostituisce la selezione del malato alla cura della malattia, be’, in questi luoghi è difficile che possano davvero rispettare il tuo polmone, specie se sei vecchio, debole, malato e dunque redditizio.