di Geronimo
Già alcuni giorni or sono, motivando il nostro no all'utilizzo di militari in compiti di polizia, abbiamo ricordato come gli eccessi del recente passato sono alla base di quelle iniziative legislative ed amministrative anomale sul terreno della prassi democratica e qualche volta anche su quello costituzionale. Tra gli eccessi del passato non c'è alcun dubbio che al primo posto vi siano state le iniziative della magistratura inquirente che da 15 anni a questa parte hanno «scandito» e condizionato l'assetto politico del Paese. E il giudizio è ormai comune. La democrazia in ogni Paese ha il dovere, prima ancora che il diritto, di difendere se stessa da questi eccessi senza scivolare però in eccessi uguali e contrari. È in questo quadro che si inscrive l'iniziativa per mettere al riparo le più alte cariche dello Stato. In una democrazia stabile e responsabile questi «rimedi» quasi certamente non troverebbero posto. Ma non avrebbero trovato posto neanche quegli eccessi «giudiziari» che hanno criminalizzato il sistema dei partiti, inquisendo e mettendo in galera centinaia di persone risultate poi innocenti senza che nessuno fosse chiamato a risponderne. Posta così la questione, diventa allora necessario trovare quel «rimedio» capace di difendere la democrazia senza offendere la costituzione. A nostro avviso c'è una strada percorribile ma non è quella indicata da alcuni senatori e cioè la sospensione dei processi per le più alte cariche dello Stato tra cui il Presidente del Consiglio. La strada che ci suggerisce la stessa Costituzione è quella di un preventivo assenso parlamentare per le 4 maggiori cariche istituzionali (i presidenti delle Camere, il Presidente del Consiglio e il presidente della Corte costituzionale) facendo rivivere, nell'attività istruttoria, una commissione inquirente. Già oggi il Presidente della Repubblica può essere messo in stato di accusa solo dal Parlamento in seduta comune (articolo 90) e per i soli reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. E già oggi anche per i ministri c'è un tribunale particolare, definito per l'appunto il tribunale dei ministri. Conosciamo sin da ora le critiche che potrebbero essere rivolte a questa nostra proposta. La prima è che un giudizio parlamentare darebbe per scontato il risultato di una immunità per gli esponenti di maggioranza. Una critica che non solo è smentita da molti precedenti (il processo Lockheed per Gui e Tanassi l'altro ieri e ieri il giudizio dell'opposizione sull'utilizzo delle intercettazioni a carico di Fassino e D'Alema) ma finirebbe per dare un giudizio intollerabile di inidoneità all'organo della sovranità popolare qual è, per l'appunto, il Parlamento della Repubblica. Senza considerare, naturalmente, che un giudizio parlamentare darebbe all'opinione pubblica la esatta cognizione dei fatti con il conseguente riflesso politico e senza che per questo si possano scomodare i sacri principi della separazione dei poteri in uno Stato di diritto. Il voto del Parlamento, infatti, dovrebbe solo sospendere il giudizio e non cancellarlo indefinitamente e pertanto lo strumento necessario è solo una legge ordinaria. La seconda critica che potrebbe essere rivolta è che la competenza del tribunale dei ministri è solo per i reati connessi ad atti ministeriali ed il Presidente del Consiglio è già incluso nel novero dei ministri. Critica giusta e corretta ma inefficace nel nostro ragionamento sol che si consideri che oggi siamo in una condizione di dover difendere la democrazia da quegli eccessi ricordati e riconosciuti finanche da Luciano Violante colpito questa volta non sulla strada di Damasco ma su quella della candidatura alla Corte costituzionale. E con tutto il rispetto che si deve all'autonomia della magistratura inquirente rimettere nelle mani del parlamento la decisione di processare o meno le più alte cariche dello Stato è, sì, un rimedio eccezionale ma è pur sempre una clausola democratica che nulla nasconde all'opinione pubblica. Ad una sola critica non sapremmo cosa opporre ed è quella che non dovesse riconoscere gli eccessi delle procure della Repubblica che sono da tempo sotto gli occhi di tutti. In quel caso, però, ci convinceremmo ancora di più che alcune forze politiche, che spesso non sono né forze né politiche, hanno tutto l'interesse di usare come armi improprie nella vita democratica le iniziative delle procure della Repubblica. Di questo abbiamo più volte scritto e all'occorrenza torneremmo a farlo.