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 TORNIAMO ALLA IMMUNITA' PARLAMENTARE di Maurizio BELPIETRO Data: 22/06/2008
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
Mentre infuria la polemica tra il governo e l'A.N.M. che pretende di divenire legislatore senza aver ricevuto alcun mandato elettorale, il direttore di Panorama, con la solita spregiudicata chiarezza dice: torniamo alla immunità parlamentare, così come la vollero i Padri Costituenti nella Carta Costituzionale. Ovivamente ci attendiamo che I Magiustrati, cauto nominatisi custodi della ortodossia costituzionale, non avranno nulla da ridire. O no?! ECCO IL PIUNGENTE ARTICOLO DI BELPIETRO.

"Silvio Berlusconi ha sbagliato a scrivere al presidente del Senato per lamentare l’aggressione giudiziaria di cui sarebbe vittima. Avrebbe dovuto fare come Oscar Luigi Scalfaro, che, accusato di avere intascato 100 milioni al mese dai servizi segreti, si presentò in tv a reti unificate e pronunciò un semplice “non ci sto”. Al resto pensarono alcuni giudici di Magistratura democratica, l’ala sinistra delle toghe, che tapparono la bocca agli accusatori. “Colpendo Scalfaro si rischiava di trascinare le istituzioni e il Paese nel marasma e nel discredito, pertanto l’operazione andava soffocata sul nascere” ricorda Francesco Misiani, uno dei giudici romani che si occupò del caso.
Alla banda Broccoletti, il gruppo di 007 che per discolparsi dall’accusa di essersi arricchiti con i soldi del Sisde tirarono in ballo il presidente della Repubblica, fu contestato l’attentato agli organi dello Stato, in base all’articolo 289 del Codice penale. Un reato che prevede una reclusione non inferiore a 10 anni per chiunque commetta un fatto diretto a impedire, anche temporaneamente, al presidente della Repubblica o al governo l’esercizio delle attribuzioni e delle prerogative conferite loro dalla legge.
La contestazione di un crimine che “teneva a stento sotto il profilo giuridico era del tutto artificiosa” ammette lo stesso Misiani, ma ebbe l’effetto di zittire gli accusatori del capo dello Stato, facendo balenare il rischio di condanne pesantissime. Dei 100 milioni al mese che avrebbe intascato Scalfaro non si parlò più e da allora l’ex inquilino del Quirinale è un tifoso sfegatato dei magistrati. Credo che solo l’età avanzata lo trattenga dal partecipare ai girotondi a sostegno delle procure.
Rinvango questa vecchia storia per spiegare quanto sia inquinato il rapporto tra politica e magistratura e, soprattutto, quanto sia discrezionale la famosa “obbligatorietà dell’azione penale”. Quando si tratta del Cavaliere, la preoccupazione di trascinare “le istituzioni nel marasma e nel discredito” non è affatto avvertita dalla magistratura. Da 14 anni, ossia da quando è sceso in politica, Berlusconi è inseguito da decine di pm. Per condannarlo sono stati investiti mezzi e risorse che non s’erano messi in campo neppure per Totò Riina.
Ciò detto, credo davvero che Berlusconi abbia sbagliato a proporre l’emendamento che accantona momentaneamente i procedimenti giudicati meno pericolosi. Non tanto perché sia una norma criminogena, come l’ha definita Antonio Di Pietro (basti ricordare che il provvedimento riprende il senso di una circolare dell’allora procuratore capo di Torino, Marcello Maddalena, condivisa da gran parte del Csm), quanto perché temo che non otterrà l’effetto sperato.
Per difendersi da una guerra ad personam, il premier Berlusconi, probabilmente su suggerimento dei suoi legali, è stato spesso tentato dal varo di normative consequenziali, ma ciò non ha fermato la cavalleria giudiziaria. Al contrario, i processi sono andati avanti, perché, fatta la legge, i magistrati hanno trovato l’inganno per aggirarla.
Oggi come nel 2001 sono convinto che il Cavaliere debba affrontare in campo aperto un conflitto che ormai è diventato cronico: riscriva l’articolo 68 della Costituzione come lo vollero i padri costituenti; ripristini l’immunità parlamentare, tutela che fu spazzata via da Mani pulite come un orrendo privilegio, ma che senza abusi porrà le istituzioni al riparo dalla “discrezionalità dell’azione penale”. Una discrezionalità troppo al servizio di una sola parte politica.

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