È addirittura felice come una Pasqua Zapatero, secondo il cui governo la revoca delle sanzioni diplomatiche europee a Cuba dimostrerebbe “la sua indipendenza e autonomia in politica estera di fronte agli Stati Uniti”. Naturalmente dall’Avana ringrazia il ministro degli Esteri Felipe Pérez Roque, che parla di “un passo nella direzione corretta”. E si è dichiarato soddisfatto pure il “Commissario” Franco Frattini, stando al quale grazie alle pressioni di Italia, Svezia, Repubblica Ceca e Polonia si sarebbe ottenuto “un testo un po’ più rigoroso” rispetto alla proposta spagnola. L’inclusione di “alcune condizionalità politiche, ossia il rilascio dei prigionieri politici che sono ancora nelle carceri cubane e la decisione che ogni incontro di alto livello debba includere un dialogo con l'opposizione” sarebbe infatti per lo stesso Frattini un successo, se si considera che "c'erano sanzioni sospese dal 2005", proprio per le pressioni della Spagna: “Le sanzioni o si applicano o si ritirano". Le suddette sanzioni, in effetti, erano poco più che simboliche: limitazione alle visite governative bilaterali di alto livello; invito sistematico ai dissidenti nelle ambasciate dell’Unione Europea. Ma oltre a ciò c’è anche una importante apertura di credito alle riforme di Raúl Castro, che molti critici hanno giudicato finora in gran parte cosmetiche: libertà di acquisto di elettrodomestici che la gente non ha i soldi per comprare; libertà di computer in casa mentre aumentano le misure di interdizione su Internet, alla cinese; apertura a un mercato immobiliare che in effetti già esiste, grazie a un uso creativo del concetto di permuta. “Il Consiglio dell’Ue riconosce e appoggia i continui cambi di liberalizzazione intrapresi finora dal governo cubano e incita Raúl Castro a continuare a introdurre ulteriori riformi”, dice nero su bianco il documento.
Ora, era scontato il disappunto degli Stati Uniti: il portavoce del Dipartimento di Stato Tom Casey aveva criticato una decisione tale da far “credere a un regime dittatoriale” che “l’oppressione del proprio popolo era più accettabile di prima”. Abbiamo visto anzi che proprio questa divergenza ha rivendicato come titolo di merito il governo di Madrid: quasi emulo di quel personaggio dell’antica Grecia che, non trovando altro modo per passare alla storia, diede fuoco al Tempio di Diana a Efeso. Pure preventivata era l’ira dell’opposizione cubana, sia interna che in esilio. “Si conferma una volta in più che, salvo onorabili eccezioni, l’Ue segue una politica ipocrita esclusivamente interessata ai suoi interessi economici e non a che Cuba entri nel circolo delle nazioni democratiche del mondo”, ha sbottato perfino il socialdemocratico Vladimiro Roca: figlio di un segretario del Partito Comunista Cubano sia prima che dopo la Rivoluzione, e tradizionale interlocutore degli ex-Ds e di altre sinistre europee. “Si prospettano cose orribili per l’opposizione”, ha paventato Martha Beatríz Roque, che invece appartiene a un’ala dell’opposizione più filo-Usa. “È un incoraggiamento ai settori più duri del governo” è l’analisi dell’economista Óscar Espinosa Chepe, a sua volta uno degli arrestati in quella repressione del 2003 che provocò le sanzioni europee. “È la condanna dell’opposizione all’oblio”, denuncia dall’esilio di Madrid il poeta e giornalista Raúl Rivero. Mentre le Damas de Blanco, parenti dei detenuti ancora dentro (55 dei 75 condannati nel 2003), definiscono quella dell’Europa “fiducia straordinaria in alcune promesse che da due anni aspettiamo ancora che si compiano”.
Ma il bello è che lo stesso ministro degli Esteri sloveno Dimitrij Rupel a nome della Presidenza di turno ha ammesso i suoi “forti dubbi”. E quello che alla fine ha sparato più di tutti contro l’Ue è stato proprio Fidel Castro, che ha manifestato tutto il suo “disprezzo” per la “screditata maniera” e l’”ipocrisia” con cui l’Ue ha agito: un contrasto così stridente rispetto a quanto detto da Pérez Roque da far intravedere a qualcuno un primo scenario di divisione nei vertici cubani. In compenso, lo slogan dell’”ipocrisia europea” ha finito per avvicinare in modo clamoroso il linguaggio del líder máximo e quello di uno dei suoi avversari più fermi. Al dunque, l’annunciata revoca delle sanzioni è poi slittata di qualche ora, per un disguido burocratico che aveva presentato il testo precedente alle modifiche concordate tra i ministri europei. Comunque, la prima risposta del regime è consistita nell’arresto di altri sei dissidenti, delle cui sorti non si hanno ancora notizie.