di Giordano Bruno Guerri
È in corso un’improvvisa, e benefica, stretta di severità nelle nostre scuole. Per ora a partire dai più deboli, ovvero dagli studenti: aumento delle insufficienze alle superiori e ripristino degli esami di riparazione. Due bimbi bocciati in prima elementare. Anche qualche funzionario ha perso l’incarico o lo perderà – alleluia – per avere proposto ai maturandi temi sbagliati. Occorrerà che anche le università si adeguino alle necessità di un Paese che chiede, giustamente, un rigore maggiore verso tutto ciò che riguarda le attività pubbliche, a partire dal licenziamento dei fannulloni e degli incapaci. I corsi di laurea devono diventare più selettivi, visto che scopo dell’università non è produrre laureati, ma professionisti in grado di svolgere al meglio compiti importanti nella società.
Colpire gli studenti, però, sarà ancora inutile o addirittura dannoso se non si riesce – prima – a selezionare i docenti secondo il principio del merito, della capacità, della sapienza nella loro materia: e dell’assoluto rigore morale. In attesa che finalmente se ne occupi la magistratura, per adesso l’hanno fatto alcuni organi di stampa, a partire dal nostro con il caso Galimberti, o con quello dei baroni che trasmettevano i titoli a famiglie e famigli, come feudatari. Però dovrebbero essere le stesse università a farsi implacabili con i professori: su come vincono i concorsi, sui loro meriti scientifici, sulla loro capacità didattica, sulla loro voglia di lavorare.
Matteo Sacchi ha scoperto l’ennesimo capitolo del «caso Galimberti», salito in cattedra anche grazie a opere plagiate; e il rettore di Ca’ Foscari gli ha risposto che non è compito suo prendere provvedimenti, casomai spetta a un inesistente giurì o alla «comunità scientifica». Ovvero, il giudice incaricato di giudicare se stesso. E se il ministro competente cominciasse a trattare anche i rettori come sono stati trattati quei due poveri bambini in prima elementare?