Ho condotto per una settimana la trasmissione “prima Pagina”, la rassegna stampa in onda su Radio3 e condotta a rotazione da giornalisti di diverse testate. Dopo la lettura dei giornali la trasmissione prevede un “filo diretto” con gli ascoltatori durante il quale il conduttore risponde alle loro domande.
E’ stata una esperienza interessante che mi ha fatto molto riflettere sulla qualità del dibattito pubblico nel paese e sulla mia capacità di incassare insulti. I temi caldi di quella settimana appena trascorsa erano gli stessi di questa appena cominciata: la giustizia, con tutto il suo accompagnamento di provvedimenti “salva-premier” e le impronte per i bambini rom. Chi legge l’Occidentale un po’ conosce le mie opinioni in proposito, ma non è di questo che voglio parlare: mi interessa invece la meccanica del dialogo con gli ascoltatori perché essa riflette – in piccolo – la generale dinamica della discussione politica.
La maggior parte delle telefonate che ho ricevuto erano fortemente polemiche nei miei confronti, soprattutto quando mi permettevo di argomentare in difesa delle misure del governo sulle questioni già citate. Le reazioni negative degli ascoltatori (ce n’era qualcuna anche positiva per mia fortuna) si dividevano in due grandi gruppi: i primi mi accusavano di essere incompetente, di non sapere quello che dicevo e in sostanza di essere un po’ “fuori di testa”; i secondi erano invece convinti che io fossi un venduto, un prezzolato del Caimano, uno che tradiva le sue vere idee per qualche inconfessabile motivo. A parte il fatto che non sapevo chi preferire, ne sono uscito con le ossa rotte ma ne ho anche tratto qualche lezione.
La maggior parte di coloro che votano a sinistra, leggono Repubblica o l’Unità e si ritengono di diritto dalla parte del Bene e del Vero, ragionano allo stesso modo. E così fanno i loro rappresentati in politica o in Parlamento. Le opinioni che non si condividono sono 1) frutto di annebbiamento o di colpevole incompetenza; 2) dovute al “prolasso morale” di chi ha tradito se stesso e le sue vere idee in cambio di qualche vantaggio.
E’ un modo molto comodo e auto-consolatorio di ragionare perché risparmia la fatica di mettere alla prova le proprie idee con quelle altrui. Chi non la pensa come noi, infatti, non ha opinioni: o è mezzo matto o è mezzo corrotto. O rinsavisce o va in galera, non resta che attendere.
Quando Eugenio Scalfari, senza neppure nominarlo, accusa il direttore del Riformista, Antonio Polito, di aver mantenuto il suo talento ma perduto la sua fibra morale, corrisponde esattamente a questo schema, anzi lo alimenta e lo rafforza. Allo stesso modo i giornali che accusano Roberto Maroni di essere un epigono di Hitler per il fatto di voler prendere le impronte ai bimbi rom, dicono che il ministro dell’Interno è impazzito, ha tragicamente tralignato verso il male assoluto. Con costoro non si discute, ci si limita a metterli all’indice.
Tutto il dibattito sulla giustizia di questi giorni è corrotto da questo modo di pensare: Berlusconi è pazzo, ossessionato dalla sindrome dell’imputato e tutti coloro che lo seguono, parlamentari, giuristi, giornalisti, e persino elettori, sono suoi manutengoli prezzolati.
Se lo schema del centro sinistra resta questo: interdittivo, contro gli “interessi” e le “follie” della maggioranza quando è all’opposizione; e punitivo contro gli stessi “interessi” e “follie” quando è al governo, questo paese non farà mai un passo avanti. Veltroni l’ha capito e prepara le valigie.