DAL QUOTIDIANO ”PUGLIA” DEL 1° LUGLIO
C’è un notevole e positivo miglioramento nelle polemiche pugliesi tra magistrati, politici e giornalisti. Ne abbiamo già dato atto, tempo fa, al presidente del Tribunale di Bari, Vito Savino. Anche il presidente della giunta barese dell’Associazione nazionale magistrati Isabella Ginefra, polemizzando col ministro Fitto l’altro giorno, si è limitata ad una esortazione travisata solo dai titoli di Repubblica: da quello di apertura della prima pagina (“Fitto, basta attacchi”) a quello di pagina interna: “Fitto smetta di attaccare i magistrati. L’Anm accusa: è un ministro, noi non possiamo replicare”. Al contrario, nel documento dell’Anm, riportato dalla stessa Repubblica, non c’erano il “basta” e il “Fitto smetta di attaccare i magistrati”. *** Esattamente si leggeva, nella sintesi di prima pagina: “Indagati e imputati evitino dichiarazioni che riguardano il contenuto delle decisioni dei giudici, soprattutto se il processo è ancora in corso. L’opinione pubblica potrebbe altrimenti farsi un’opinione sbagliata. Percorrere la via giurisdizionale rappresenta la più ampia tutela per indagati o imputati soprattutto se rivestono incarichi istituzionali. Si evita il rischio che un diverso comportamento sia avvertito come un tentativo di ledere l’indipendenza della magistratura e di delegittimare i magistrati”. Altra frase: “Soprattutto di questi tempi, i giudici devono sempre essere lasciati liberi di decidere secondo scienza e coscienza, essendo soggetti solo alla legge. Ciascun indagato utilizzi tutti gli strumenti previsti dall’ordinamento, serbi piena fiducia nel potere giudiziario e soprattutto si astenga dal rischiare di compromettere la serenità e la terzietà del giudice”. *** Sono affermazioni di principio che, purtroppo, lasciano inalterato il conflitto fra indagati, imputati e la parte della magistratura che li riguarda nella fase inquirente e nel fracasso dei media. Anche la terzietà dei giornalisti, ovviamente quelli che si sforzano di onorarla, finisce col privilegiare il diritto di Fitto a difendersi anche sui giornali (quando le accuse diventano di pubblico dominio, ben prima dei processi o delle archiviazioni) e con tesi che è difficile non condividere. Tanto più nel giorno in cui - per fare l’ultimo di tanti, troppi esempi - il dirigente della Rai Saccà, dopo essere stato massacrato giornalisticamente, non solo per le intercettazioni delle telefonate con Berlusconi, viene “riassunto” in servizio dal giudice del lavoro. *** Non si può che essere d’accordo con Fitto quando dice di essere stato costretto a difendersi sui media “dopo aver letto l’intervista di un magistrato che, riferendosi al sottoscritto, parlava di ‘cupola e pizzini’. Avviai anche un’azione civile per risarcimento danni tuttora in corso e ne ricevetti in cambio da quel magistrato una querela per diffamazione archiviata dal Gip di Roma che ha riconosciuto il mio diritto a rendere note le azioni avviate a tutela della mia immagine”. Né si può fare a meno di condividere ciò che Fitto aggiunge: “Alla luce di questi fatti, sarebbe auspicabile che in futuro l‘Anm non si limitasse ad intervenire con solerzia solo in propria autodifesa e autotutela, ma fosse in grado di porsi con obiettività, terzietà e autocritica anche nei confronti di atteggiamenti e comportamenti ascrivibili ad alcuni suoi componenti che rischiano, quelli sì, di minare la credibilità dell’intera categoria”. *** La verità è che, dopo 15 anni di insanabili conflitti, solo la magistratura può difendere se stessa, dopo aver lasciato che una sua minoranza inventasse Berlusconi, facendolo eleggere ripetutamente, anche con una maggioranza netta. Basta chiedersi “come faceva prima, la magistratura inquirente?”, per secoli, ad indagare anche senza il diluvio delle intercettazioni telefoniche, per indicare l’anomalia che, con la complicità del giornalismo peggiore, intossica il Paese più di quanto meritino le sue stesse croniche illegalità. E’, inoltre, una magistratura che non è mai riuscita, neppure per sbaglio, a scoprire una sola delle tante fate turchine che riforniscono di fotocopie i media, a chili, e sono peraltro sempre gli stessi. Anche la sua impunità è impopolare, come il fare carriera. Dopo tante assoluzioni e anni di massacri giornalistici, non può esserci una sola categoria di infallibili o di non punibili, tanto meno in un Paese come il nostro. *** Il silenzio e quindi il rispetto mediatico (doverosi per chi è innocente sino a sentenza definitiva e per la magistratura che non sbaglia, fortunatamente in stragrande maggioranza) possono essere ripristinati solo da chi li determina. Giornali e giornalisti sono solo gli amplificatori e gli esecutori dei processi di stampa, che prima non si verificavano perché il magistrato era innanzitutto il custode di un silenzio valido per tutti gli altri. La sola differenza (detto da chi ha avuto amicizie fraterne nelle due generazioni) è che oggi una minoranza di magistrati ha acquisito, sui media che si prestano, un peso che dà la prima pagina ai processi di stampa, alle accuse, anche per mesi, mai alle assoluzioni.