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 PIETA', RIFORMATE LA SCUOLA di Bruno Vespa Data: 29/08/2008
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
Nel mio liceo pubblico dell’Aquila, negli anni Sessanta, i professori indossavano giacca e cravatta, le professoresse il tailleur, il preside il doppiopetto blu. Quando veniva a sostituire l’insegnante di chimica, sospirava vedendo che qualcuno di noi era in maglione. Alle ragazze era imposto il grembiule. La mia bravissima insegnante di ginnasio espelleva dall’aula l’alunno che avesse per caso lasciato cadere una penna disturbando la lezione. Era previsto per gli scapestrati il 7 in condotta, sufficiente per perdere l’anno. Ma nessuno studente faceva sciocchezze decisive. Naturalmente all’ingresso degli insegnanti ci alzavamo, come fanno oggi i professori d’orchestra quando sale sul podio il loro direttore.

Era una società del terrore? No, soltanto una società provinciale bene educata. Molti insegnanti scherzavano con noi, le ironie erano scambievoli, le ragazze erano innamorate del professore di storia e corteggiate da quello di scienze. La struttura della cattedra ci consentiva di discutere sulla qualità delle gambe delle insegnanti. Ma ciascuno stava al suo posto.

Il risultato? I miei insegnanti avevano un ruolo sociale eminente in città. Non come nella Lubecca di Thomas Mann, ma c’era la gara a iscriversi nelle sezioni più prestigiose. I loro stipendi erano proporzionalmente più dignitosi degli attuali, ma la gratificazione era enorme. Il ’68 ha buttato il bambino con l’acqua sporca e quarant’anni dopo siamo l’unico paese occidentale a leccarci ancora le ferite.

Non so dove riuscirà ad arrivare il nuovo ministro Mariastella Gelmini (vedere l’intervista a pagina 50), ma i suoi sforzi vanno incoraggiati perché sono in gioco il futuro delle prossime generazioni e la capacità dell’Italia di competere non più soltanto con gli Stati Uniti e le nazioni leader in Europa, ma con India, Cina, Corea del Sud. E invece stiamo a metà strada tra la Finlandia e la Tunisia. Per la prima volta dopo secoli i nostri figli staranno peggio di noi: dipende in larga parte da condizioni generali certo a loro non addebitabili, ma essere insufficienti nel sapere li condannerebbe a un ruolo progressivamente marginale nel mondo.

Il 14 per cento dei laureati italiani tra i 25 e i 29 anni non ha un lavoro, contro la media del 5,5 dei paesi più sviluppati. Nei 57 paesi principali, i nostri ragazzi di 15 anni sono al trentatreesimo posto nella lettura, al trentaseiesimo nella cultura scientifica, al trentottesimo nella matematica.

La polemica contro Gelmini per aver sostenuto che gli insegnanti del Sud devono migliorare (e far migliorare i loro studenti) lascia interdetti. Ciascuno sa quanto siano brillanti le intelligenze meridionali e quale straordinario patrimonio culturale ci sia a sud di Roma. Ma i numeri sono numeri. La media Ocse nella lettura è 492, 498 nella matematica e 500 nelle scienze. Gli alunni del Nord-Est schizzano ben oltre la media, quelli del Nord-Ovest sono un po’ sotto solo in matematica, quelli del Centro già stanno combinati male. Nel Sud e nelle Isole i punteggi sono tragici: oltre 100 punti sotto i primi nel mondo, tra i 50 e i 70 punti sotto la media Ocse, tra i 70 e i 90 punti sotto il Nord-Est. Che senso ha litigare in queste condizioni?

Gli insegnanti vanno motivati di nuovo, con stipendi più dignitosi e soprattutto con la riqualificazione sociale. L’abbattimento di 85 mila posti nei prossimi anni in questo senso è decisivo. Ma è decisivo anche il ripristino del 7 in condotta (o addirittura del 5) e del grembiule alle elementari. Sono segni simbolici del ritorno a una scuola ordinata. Se poi il ministro riuscirà a far consegnare i telefonini all’inizio delle lezioni, correrò ad abbracciarla.

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