La riforma della giustizia e la legge che limita le intercettazioni telefoniche sono un obiettivo prioritario per la maggioranza, che ha intenzione di porre limiti precisi all’uso di uno strumento che ha messo nel tritacarne mediatico anche persone che nulla avevano a che fare con le inchieste giudiziarie.
La stretta sulle intercettazioni non è dunque un attacco alla libertà di stampa, ma un segnale di civiltà nell'interesse di tutti i cittadini, del loro diritto alla privacy e quindi della libertà di tutti. È sbagliato parlare di bavaglio se i giornali non potranno più pubblicare intercettazioni senza alcuna rilevanza penale. Dopo la deriva di Tangentopoli, che è stata una pessima maestra di giornalismo, con i cronisti consorziati in pool e ridotti a meri uffici stampa degli uffici giudiziari, è l'ora che si tornino a raccontare i fatti non attraverso le veline dei pm, ma ripercorrendo la strada virtuosa delle vecchie inchieste giornalistiche.
Un sistema come quello vigente, in cui le intercettazioni disposte nell’ambito di un'inchiesta - spesso ai suoi primi atti - possono essere date in pasto al pubblico (addirittura nella versione audio integrale) senza alcuna garanzia per gli interessati, come aprioristica prova di una colpevolezza che non potrà mai essere appurata in sede giudiziaria, è un sistema barbaro, ed è giunto il momento di porre un argine al degrado che segna i rapporti tra magistratura, politica e informazione. È, questa, una delle tante emergenze democratiche che il nostro Paese deve affrontare, e il governo ha deciso di porvi rimedio secondo i principi di un autentico Stato liberale.
L'Unità ha perfino mobilitato i "reporter europei" contro il divieto di pubblicare le intercettazioni. È il riflesso pavloviano di una sinistra che non perde occasione per gettare fango sul nostro Paese all'estero. Ma questa è stata una mossa grottesca, visto che nessuno di quei reporter europei (come del resto i pubblici ministeri dei relativi Paesi) ha mai potuto fare l’uso delle intercettazioni che è stato fatto finora in Italia, perché in tutta Europa vigono leggi molto severe in tema di privacy dei cittadini. È necessaria, dunque, la massima severità nel colpire soprattutto chi fa trapelare le intercettazioni - cioè l'autorità giudiziaria - perché il diritto dei cittadini alla privacy deve diventare davvero inviolabile anche in Italia.
I pm di Milano sostengono che le intercettazioni sono state determinanti per fare luce sui reati commessi nei mesi scorsi nella sanità. Però nel 2007 gli intercettati sono stati oltre 123 mila, dei quali 112.623 nel corso di conversazioni telefoniche e 10.492 attraverso controlli ambientali (microspie e altre apparecchiature elettroniche). I confronti con altri Paesi dell'Occidente sono stupefacenti. In Francia 20.000 intercettati. In Gran Bretagna 5.500. Negli Stati Uniti appena 1.705, su una popolazione di trecento milioni di abitanti. Per tornare al 2007, i decreti emessi dalla magistratura italiana per le intercettazioni sono stati 79.966, con un aumento del dieci per cento rispetto all'anno precedente.
Ora, i casi sono due.
•O siamo uno dei Paesi al mondo a più alto tasso di criminalità. E, allora, la massa degli intercettati è giustificata.
•O c'è qualcosa che non va nel sistema delle intercettazioni: dalla decisione di farvi ricorso al loro uso in sede giudiziale e alla loro divulgazione tramite il circuito mediatico-giudiziario.
Così, finiscono nel tritacarne molti innocenti che subiscono gli effetti collaterali di indagini che non li riguardano neppure da lontano.
In sostanza, il limite alle intercettazioni non può che consistere nella tutela delle libertà del cittadino. L'offensiva dei moralisti senza morale - un'autentica piaga che imbarbarisce la vita civile e politica da Tangentopoli in poi - ha portato alla prevalenza del moralismo d'accatto sulla realtà, e questo cortocircuito ha generato spesso l’affermazione della massima ingiustizia nei confronti degli innocenti sulla realizzazione della giustizia possibile nei confronti dei colpevoli. Il moralismo - come affermazione di una verità precostituita - è una caratteristica peculiare dei sistemi totalitari e va dunque respinto. È la malattia senile della sinistra italiana.
Secondo il ministero della Giustizia, il 60 per cento dei processi dove l'accusa si basa soprattutto sull'ascolto telefonico si conclude con proscioglimenti e assoluzioni. Eppure la casta dei magistrati è insorta nel sentire che il governo Berlusconi vuole mettere un freno a un sistema ormai devastante e dagli esiti incerti.
L’ex ministro di Grazia e Giustizia, Giuliano Vassalli, socialista, ha detto: "Non è vero che i magistrati non possano più indagare senza intercettazioni. La verità è che hanno perso fiducia nei sistemi di investigazione tradizionali. È molto comodo intercettare tutti, ascoltando anche cose private che non riguardano le indagini".