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 IN VISTA DELLA RIFORMA, RICORDIAMOCI DELLA GIUSTIZIA CREATIVA... Data: 05/09/2008
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
di Filippo Facci
Chissà se la riforma della Giustizia si ricorderà anche delle cosiddette sentenze creative. Il precedente governo Berlusconi ci aveva anche provato: il disegno di legge sull’ordinamento giudiziario, nel 2003, prevedeva che il Csm potesse censurare appunto anche le sentenze che si discostassero dal dettato legislativo, insomma dalla lettera della legge. L’ordinamento non voleva occuparsi solo delle sentenze con motivazioni «politiche» o delle cosiddette «suicide», quelle ossia che contraddicono l’assoluzione di un imputato per la gioia del giornalismo d’accatto, tipo la sentenza palermitana su Andreotti, riconosciuto come non-colpevole in tutto globo terracqueo (vulgaris: assolto) e considerato creativamente «prescritto» solo negli angiporti giornalistici del Paese. Le sentenze realmente creative sono un’altra cosa. Tre esempi. Il primo: Emanuele Chiappini, appena trasferitosi nel suo nuovo appartamento abruzzese, viene picchiato da un musulmano davanti a testimoni. Motivo: aveva rivolto la parola alla moglie di lui. Il giudice Sonia Lustri, a tre anni dalla querela, risolve così: «Il Giudice ritiene di non poter prescindere dalla personalità dell’imputato influenzata dalla cultura del suo paese di origine (Cairo) e, pertanto, ritiene di applicare l’attenuante della provocazione». Assurdo? Legittimo? Relativista? Sicuramente creativo. Secondo esempio: a Genova, nel novembre 2007, un pregiudicato 36enne viene arrestato dopo una fallita rapina in banca. Il Tribunale gli concede immediatamente gli arresti domiciliari, ma non solo, gli concede anche di poter uscire di casa dal lunedì al venerdì per poter lavorare (16.30-21.00) e questo perché è sposato e padre di un bambino. E passi anche questo, sinché ecco che il teorico galeotto si spinge a chiedere di poter andare persino al mare nel giorno di Ferragosto, anche perché il gip Lucia Vignale, vediamo, l’accontenta subito: «Il bambino di tre anni ha diritto alla presenza del padre anche in un ambiente diverso rispetto a quello abitativo». È un rapinatore di banche, ma niente galera, piuttosto lavoro, e all’occorrenza mare e sole. Generoso. Creativo, soprattutto. Ultimo esempio, recentissimo: il 22enne Grzegorz Biskup, un pregiudicato polacco, aveva fatto sette furti in dieci mesi e accumulato quattro condanne: l’ultima per aver svaligiato un negozio a Mareno di Piave. Il suo curriculum aveva convinto il Prefetto e il Questore a emettere un classico «provvedimento immediato di allontanamento dal territorio nazionale», essendo lui considerato un soggetto tipicamente pericoloso e pertanto da espellere: ma prima di caricarlo su un aereo la prassi prevedeva la convalida del magistrato. Il colpo di scena è di mercoledì: il giudice Francesco Giuliano ha ritenuto che il polacco non fosse pericoloso (non-fosse-pericoloso) perché aveva sì commesso reati, ma contro il patrimonio e non contro la persona. Ha solo rubato, è solo un ladro. E questo non è incompatibile con una civile e sicura convivenza. Inutile dire che la parte dell’ordinamento giudiziario riguardante appunto le sentenze creative, il già denominato emendamento Bobbio, è stata eliminata dopo che l’Associazione nazionale magistrati l’aveva definita «inquietante». Una posizione ben stagliata anche nel successivo convegno «Le sentenze creative» organizzato a Roma nel 2004 dall’Istituto Luigi Sturzo; il relatore finale, Nicolò Lipari, docente di diritto privato ed ex senatore democristiano, salutò con queste testuali parole: «In conclusione, il problema delle sentenze creative non esiste, o meglio esiste solo nell’attuale assetto, che tende a delegittimare la magistratura». Chiuso il discorso. Non esiste. L’unico discorso che viene giudicato esistente, per quanto macroscopico, riguarda quella Magistratura che partendo dalla Cassazione tende fisiologicamente a occupare gli spazi della politica: soprattutto quando è la stessa politica a lasciare dolosamente scoperti spazi anche clamorosi. È il caso della Cassazione che nel 2006 aprì ai Pacs, o della più recente sentenza del Tribunale di Milano sul caso di Eluana Englaro. Ma se è probabile che il potere legislativo presto o tardi porrà rimedio ai propri ritardi culturali, la giustizia spicciola, quella di tutti i giorni, rischia di restare ostaggio di toghe sin troppo creative. Dove la legge vecchia o nuova continuerà a essere magari accorciata, stiracchiata, annacquata, talvolta ignorata.

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