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 SARAH, BARRACUDA ANTI OBAMA, di Giuliano Ferrara Data: 05/09/2008
Appertiene alla sezione: [ Politica Estera ]
Come si fa a rompere l’incantesimo liberal del candidato nero, giovane, esotico, elusivo, istruito e ben sposato e ben educato, fresco banditore della antica promessa americana, in una nuova era di pace multilaterale, multipolare e multiculturale? Ovvio, deve essersi detto l’arzillo John McCain: Sarah Palin. Come si può cercare di rompere il cerchio magico vincente in cui sembra avvolta la campagna democratica, battendosi sotto le bandiere di un presidente uscente che è molto impopolare per le stesse ragioni, o sragioni, per cui fu popolare e vincente quattro anni fa, l’economia e la guerra?

Sarà inesperta di economia, sicurezza nazionale e politica estera come e più di Barack Hussein Obama, non viene dalla Harvard law school e dal quartiere fico di Chicago, ma Sarah è una donna tostissima chiamata “Barracuda”, e una regina di bellezza da concorso, che arriva dal mondo ultramericano della piccola città, dalla regione di frontiera dell’Alaska. La governatrice candidata vicepresidente con McCain gioca a basket, è cacciatrice e figlia di un cacciatore di orsi e caribù, ha un marito mezzo eschimese che si barcamena tra il business della pesca in acque infide, un impiego nel settore del petrolio e quattro vittorie nei campionati mondiali di motoslitta. La sua numerosa famiglia è una cellula riproduttiva incessante (la figlia Bristol, dal personaggio del cartoon, è incinta a 17 anni e mette su famiglia): mangia pesce pescato da lui e carne cacciata da lei.
Sarah, un’immensa e fortunata Michela Vittoria Brambilla e anche qualcosa di più, ha provato con il giornalismo sportivo, poi si è immersa nella politica e antipolitica locale, è passata dal piccolo municipio di Wasilla al governatorato di Juneau dando e vincendo epiche battaglie contro l’establishment repubblicano al potere, capipartito, governatori da lei sfidati e battuti, senatori influenti nel voto di scambio e nel clientelismo legislativo. Ha avuto anche il tempo di finire sotto inchiesta per abuso di potere (una sentenza prevista per il 31 ottobre, 4 giorni prima del voto: wow!). Il livello di popolarità di questa formidabile e surreale commander in chief ha oscillato in Alaska tra il 90 per cento e il 76 per cento. Nello stato conquistato a mani basse da meno di 2 anni ha rapidamente imparato a guidare un esecutivo, la National guard e la politica energetica più insidiosa e complicata d’America, tra gas naturale, oleodotti da costruire e petrolio da estrarre, per lei “tanto e subito e ovunque”, nella elettoralmente temibile crisi del prezzo della benzina.

La sua caratteristica culturale e identitaria è il tradizionalismo più battagliero, ostentato con vivace spontaneità: la sua vita è lo specchio energetico e caotico del familismo valoriale americano under God. Ha un bimbo di pochi mesi con la sindrome di Down, accettato e accudito con dignitosa fierezza, e dovrebbe ricostruire i legami elettorali in difficoltà del candidato presidente repubblicano con la base cristiana e il mainstream ideologico dell’America di mezzo, e del selvaggio West. Soprattutto ora che sta per diventare nonna grazie alla figlia teenager. Lo scompiglio portato da Sarah e Bristol, con questa rivelazione fatta 3 giorni dopo la candidatura, ha preso il ritmo di una clamorosa sit-com, tra risa, applausi e fischi. Per i liberal, e per le donne militanti della campagna pro Hillary, la gravidanza è una malattia di genere. E la politica si fa quando le funzioni di madre siano espletate. Ma Obama ha dovuto subito ricordare: “Mia madre mi ha fatto quando aveva 18 anni. I discorsi maliziosi sui figli dei candidati, cari amici liberal, sono off limits”.

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