di Giordano Bruno Guerri
Le parole del ministro Larussa che ha reso omaggio ai Caduti della RSI e poi le dichiarazioni del sindaco di Roma Alemanno che pur condannando le conclusioni liberticide del fascismo ha escluso che esso possa essere definito il “male assoluto”, hanno provocato polemiche politiche e anche giornalistiche e storiografiche. Quelle politiche hanno il marchio della sinistra che allo sbando com’è allo stato, non s’è lasciata sfuggire l’occasione per attizzare nuovamente l’odio fra gli italiani, prendendoa pretesto fatti che ormai appsrtengono al passato che solo a parole si vorrebbe seppellire ma che puntualmente ritorna a galla.
Diverse le polemiche giornalistiche e storiografiche che ormai non si lasciano più condizionare dal “politicamente corretto” e esprimono valutazioni e giudizi più complessi e seri, rispetto a quelli della politica.
Tra i tanti articoli, abbiamo scelto quello di Giordano Bruno Guerri, storico e autore di numerosi saggi sul fascismo, che restituisce ad una dimensione più equilibrata la realtà storica in cui si svolsero i fatti che videro contrapposti gli italiani sul finire della seconda guerra mondiale su due sponde diverse, gli uni e gli altri comunque meritevoli di rispetto, perché gli uni e gli altri combatterono in buona fede la loro battaglia in nome della Patria.
Le parole di Guerri, del resto, riecheggiano queelle di De Felice e più recentemente quelle di Pansa che hanno restituito, sia pure attraverso trame romanzesche, alla verità gli anni terirbnikli della guerra civile.
Quanto ai Caduti della Rsi, pensiamo che sia sufficiente leggere i libri di Carlo Mazzantini, ragazzo di Salò, passato dall’altra parte che però, con grande onestà intellettuale, ha raccontato la storia di vite spezzate per scelte che molti suoi commilitoni, meno fortunati di lui, fecero sul fiorire della giovinezza lasciata sul campo di bataglia.
Perché non rendere omaggio anche alla Loro memoria e perché scandalizzarsi dopo oltre 60 anni se altri lo fanno? g.
Ecco l’opinione di Guerri.
Il concetto di male assoluto riguarda più la linguistica e la teologia che la storia e la politica. Non a caso il caotico dibattito di questi giorni nasce perché l’espressione è stata applicata, da un politico, alla storia. Allora cominciamo col dire che la definizione di «male assoluto» può essere associata soltanto al Maligno, al Diavolo (per chi ci crede, s’intende). Il demonio è un male assoluto in quanto tende - esclusivamente, totalmente – al Male. Si può dire la stessa cosa di un sistema politico?
Il regime fascista, come quello staliniano, ripugnano alla coscienza della maggioranza dei contemporanei perché entrambi portatori di un male facilmente riconoscibile come tale, ovvero la privazione della libertà, per i singoli individui come per i popoli. Entrambi, poi, commisero errori e ebbero colpe che sono la negazione di ciò che consideriamo bene: le guerre, l’imperialismo, la soppressione degli avversari politici e via via, in un elenco che ognuno può allungare a piacimento. Ma è insostenibile che tendessero lucidamente, istituzionalmente, soltanto al male. Vi si aggiunga che qualcosa di apprezzabile fu fatto da entrambi i regimi; basta citare l’aumento della scolarizzazione e il miglioramento dei sistemi assistenziali e sanitari.
Il nazismo si avvicina molto di più all’idea di «male assoluto», perché ha nella sua più intima essenza un concetto di superiorità razziale – e di sterminio - dei popoli «inferiori». Ponendo come bene la superiorità e la purezza della propria razza, a danno di altre, il nazismo va - in piena lucidità e volontà - contro la scienza, la filosofia, la storia: e, più semplicemente ma ancora più gravemente, contro un’evoluzione millenaria del pensiero e della civiltà. Inoltre, il nazismo perseguiva obiettivi dissimulati con piena coscienza del perché non dovevano essere manifesti. In definitiva, dunque, finisce per avere ragione Alemanno, quando sostiene che il razzismo fu un male assoluto, e il fascismo no: non lo fu perché le sue leggi razziali, i suoi progetti, non puntavano a cancellare dalla faccia della terra un’intera razza, peraltro nobilissima.
A questa considerazione si obietta che il fascismo fu, però, alleato con il nazismo. E qui si arriva all’altra polemica di oggi: le dichiarazioni del ministro La Russa, che ha voluto onorare anche i caduti della Repubblica Sociale Italiana. I quali erano alleati dei nazisti, e quindi ne condividerebbero – secondo un giudizio diffuso – la responsabilità. Si sa invece che, nella Rsi come nel resto del mondo, quasi nessuno era a conoscenza di quanto avveniva ad Auschwitz, a Dachau e negli altri turpi campi di concentramento nazisti. Ed è lecito supporre che, se lo avessero saputo, molti non avrebbero accettato di combattere ancora al fianco di un simile alleato. Sbagliarono, certo, ma perché anteposero al valore universale della libertà quello nazionale della patria. Proprio come altri anteponevano al valore universale della libertà quello ideologico del comunismo. Però il giudizio storico, per essere tale e non distorto, deve tenere conto dell’epoca in cui si svolsero i fatti. Quei giovani, e quegli adulti, erano stati educati tutta la vita al culto della patria, prima con le lezioni sul Risorgimento, poi con il gran macello della prima guerra mondiale, poi con la propaganda del nazionalismo fascista. Stato, scuola, genitori avevano inculcato loro concetti di patria e di onore difficili da estirpare nel corso di una notte, proprio quando sembrava averli traditi lo stesso re che di quei principi doveva essere il custode. Sbagliarono, sì, ma non è giusto disprezzarne la memoria, se non si macchiarono di delitti che con la guerra nulla avevano a che fare.
Infine una considerazione, anche personale. Dispiace che queste polemiche nascano sempre da dichiarazioni di uomini politici di destra, siano o no al potere. Perché, inevitabilmente, si finisce per sospettarli di interessi di parte e per coinvolgere nel sospetto chi – come me – arriva alle stesse conclusioni per tutt’altre vie, storiografiche e non politiche. Dispiace anche di più che la responsabilità, forse, sia proprio degli storici, che non hanno ancora fornito ai politici – di destra e di sinistra – gli strumenti per una comprensione meno manichea del nostro passato.