di Michele Ruschioni
E’ ancora in corso, e siamo ai primi di settembre, quella che passerà alla storia della politica italiana come la “rivoluzione del predellino”, la svolta impressa da Berlusconi nello scorso novembre a San Babila, da cui è nata l’avventura del Pdl. Allora Berlusconi decise che bisognava cambiare il passo, che occorreva un elemento di rottura nel quadro del sistema e decise di fondare un nuovo partito. Da allora abbiamo visto il centrodestra vincere le elezioni e oggi questo paese ha un governo che almeno per ora ha la barra del timone dritta e vede crescere il proprio consenso. Mentre la luna di miele tra l’esecutivo e gli italiani continua il principale partito dell’opposizione è in piena crisi. Le percentuali lo danno al di sotto del 30% mentre Di Pietro cresce oltre il 10%. Da qui un interrogativo: mentre il Pd si sfascia è ancora il caso di correre uniti nel centrodestra o si può pensare di rimettere in discussione la scelta di Berlusconi e decidere di andare divisi per colpire uniti? E soprattutto, le forze centrifughe che si manifestano nel partito, che temono che una delle due entità politiche fagociti l’altra possono rappresentare un elemento di frizione nella costituzione del Pdl? E poi c’è la Lega, con le polemiche dei giorni scorsi, che sembra in qualche modo voler rompere l’incantesimo che ha consacrato l’unità e il successo del centrodestra. Tutti quesiti posti nel corso della Summer School di Magna Carta ai protagonisti e ai fautori della nascita del Pdl: Ignazio La Russa, Maurizio Cicchitto, Maurizio Gasparri, Italo Bocchino, Carlo Giovanardi, e Gaetano Quagliariello, moderati dal vicedirettore di Panorama, Mario Sechi.
Tutti concordi nell’affermare che il Pdl non solo “s’ha da fare” ma di fatto già esiste. “Non siamo al partito del predellino – ha detto il ministro della Difesa La Russa entrando subito nel merito – e non siamo neanche quello nato dai gazebo e dalle milioni di firme raccolte in quelle sedi, perché dopo l’annuncio di Berlusconi è avvenuto dell’altro: c’è stata la caduta di Prodi e la nascita di una lista prima, e di un partito poi, legittimato e benedetto da tutti gli elettori”. Insomma, niente polemiche: il Pdl nasce perché lo hanno deciso gli elettori, non tanto facendo vincere le elezioni al centrodestra ma perché – continua La Russa – chi ha votato ad aprile ha deciso sostanzialmente di semplificare il quadro politico nazionale. Non è un caso che abbiamo ottenuto un numero di voti superiore alla somma dei voti dei singoli partiti”.
Dunque, in un sistema politico sostanzialmente bipartitico non esistono motivi per bloccare il processo in corso. Per ora si va avanti senza altre annessioni, dove per annessioni leggi Casini. Sull’ex alleato spara Giovanardi, si spoglia del suo passato democristiano e senza mezzi termini chiarisce: “piuttosto che perdere tempo con l’Udc pensiamo a costruire il Pdl. Del resto, scusate, ma l’Udc non è all’opposizione?”. E giù applausi. “Il problema”, prosegue Giovanardi “non è l’Udc ma la capacità di dare risposte concrete ai milioni di cittadini che ci hanno votato. Casini invece ha un altro problema: quello di non poter scegliere una parte o l’altra perché se sceglie perde almeno una metà del suo elettorato”.
E la Lega? Ce n’è pure per il partito di Bossi, cui non manca di riservare una stoccata lo stesso La Russa: “Guardiamo ai dati obiettivi: la Lega è in crescita, ma, e dico io per fortuna, al nord è ancora assai distante dal Pdl. Se al nord la Lega va bene il Pdl va meglio”. In politica contano i numeri. Argomento Berlusconi. In un partito a vocazione presidenzialista, come si fa a controllare lo strapotere del presidente? Tradotto: chi potrà fermare, arginare, controllare Silvio? Risponde Cicchitto che Berlusconi lo conosce molto bene: “la democrazia esistente nei partiti oggi è molto parziale, diversa da quella della prima repubblica, in cui c’erano le correnti, che si correlavano alle preferenze e che avevano un rigido sistema finanziario. Oggi non ci sono correnti, e anzi vorrei far notare come in entrambi i partiti che costituiscono il Pdl ci sia una fortissima vocazione presidenzialista. L’operazione più complessa che va compiuta è quella di unificare le strutture politico-partitiche a livello territoriale. Ma molto è già stato costruito nel passato. Forza Italia, ad esempio, aldilà di quello che si racconta ha fatto 4000 congressi, eleggendo i propri coordinatori e delegando a Berlusconi le nomine regionali. Anche An, da parte sua, è costituito da una forte leadership di Fini, oltre ad esserci correnti organizzate e l’elezione di organismi intermedi dal basso e dall’alto”. Dello stesso avviso Italo Bocchino, “credo che il il Pdl debba essere un partito presidenziale e non credo che debba essere un partito leggero. Guardate che Forza Italia non è poi così leggero e An non poi così pesante come si pensa”. Il giovane deputato ex An va oltre e da un consiglio ai giovani che vogliono formarsi politicamente: “credo che la formazione passi per due strade fondamentali, l’esperienza negli enti locali e le scuole di partito”. Le federazioni giovanili dei partiti? Sconsigliatissime. Tocca a Gasparri rasserenare tutti coloro che in An sono preoccupati dalla “sindrome della annessione”. “Nessuna preoccupazione – chiosa Gasparri – certo, non neghiamo che quando il Pdl si costituirà su base territoriale verranno fuori i problemi di spartizione. Ma è una cucina politica che stiamo affrontando dal 94 ad oggi. Lì si farà la sarà una selezione che però, come per il passato, non inciderà nelle scelte dell’elettorato”.
La principale preoccupazione semmai è legata alla sinistra. E non tanto per la sua forza quanto per la sua debolezza, spiega saggiamente Quagliariello: “il nostro principale problema oggi è la crisi del Pd, il fatto che il partito di Veltroni non sia all’altezza dell’intuizione che ha avuto. Noi avremmo bisogno di un avversario che non sia un nemico e invece il partito democratico si muove sulla scia di due paradossi: il “vorrei” essere il partito antagonista che punta alla successione a Berlusconi e per questo fa il governo ombra e una opposizione dura ma propositiva, e il “non posso” perché c’è Di Pietro, perché è perennemente frammentato al suo interno, diviso tra l’antiberlusconismo e l’antifascismo, e non è in grado di trovare una proposta per contrastarci. E poi c’è la visione di D’Alema che vorrebbe ricostituire il centrosinistra senza accorgersi che è un fallimento perché ormai c’è troppa polarità”. Ma c’è chi già guarda al futuro. Un futuro che prevede Berlusconi al Quirinale e Fini a Palazzo Chigi. Chi ci scherza sopra ma non troppo. “In politica – dice La Russa – ho imparato che a differenza della fantasy immaginare il futuro porta male. Parlare di ipotesi future fa male alla possibilità delle loro realizzazione. Concentriamoci su quanto stiamo facendo, sui risultati che stiamo ottenendo, in futuro non c’è niente che possiamo fare se continuiamo con la stessa coesione”.
Dopo il futuro il passato: “Lei si sente così fascista come la dipingono?”, chiede il moderatore del dibattito a Gasparri: “Io di fascismo non mi occupo da molto tempo. Sono polemiche pretestuose in risposta all’incapacità della sinistra di parlare d’altro. È una vecchia barzelletta da avanspettacolo. Con Don Sciortino che però fa la parte del fratello di Don Lurio. Dobbiamo lavorare per il paese, parlerei di questo”. Da un po’ di tempo in Italia il Governo pensa al futuro, prossimo e anteriore. Le polemiche sul passato hanno il posto che meritano.