Le correnti porteranno l’Udc nel Polo di Gianni Baget Bozzo -
L’Udc va a congresso e, come è naturale in un mondo postdemocristiano, si articolano posizioni diverse. Il partito che va al congresso non è quello che porta Casini for president come segno distintivo. Ritorna il pluralismo abituale dei congressi democristiani. Del resto il ruolo stesso di Casini come leader è dovuto al fatto che egli si era candidato con Forza Italia nel ’94 ed era rimasto fedele a Forza Italia nel ’98, quando si costituì il governo D’Alema e la coppia Casini Mastella ne uscì radicalmente sparigliata. Poi Casini, divenuta la figura più vistosa dell’Udc come presidente della Camera dei Deputati, ottenne di organizzare il partito come Forza Italia, cioè attorno alla sua figura bilanciando con la sua immagine quella di Berlusconi. Tutta la politica dell’Udc della passata legislatura è stata costruita su questa immagine di Casini come simile a Berlusconi e, per questo, come alternativo a lui.
Il risultato che Casini ottenne è in un certo modo paradossale. Egli riesce a reintrodurre il proporzionale nelle elezioni politiche e quindi che l’Udc divenga un partito con il proprio tesoretto di voti, non mediato dal carisma di Berlusconi. Però, con questo risultato, l’Udc torna un partito democristiano e quindi sfugge alla riconduzione di tutto il partito a un unico leader.
In una Udc dentro al Polo o la Casa delle libertà, era possibile e conveniente che Casini fosse il leader massimo: ma ora egli deve fare i conti con un partito diviso in correnti, che chiedono un governo collegiale e non la riconduzione ad un’unica persona. Segno di questo fatto è che, per la prima volta, Carlo Giovanardi, l’esponente postdemocristiano più vicino a Forza Italia, accetta di uscire allo scoperto con la sua candidatura alla segreteria del partito contrapposta all’attuale segretario Lorenzo Cesa. Pensa che il teorema delle «due opposizioni» lanciato da Casini non abbia incontrato il consenso di una parte consistente dell’elettorato e della militanza Udc. Ma, ancora più significativo, è il fatto che Mario Baccini, che ha un vasto seguito nei quadri e nella militanza del partito, si unisca a Bruno Tabacci e lo faccia creando quasi un altro partito. 200 dirigenti dell’Udc si sono riuniti nel luogo sacro al patrono di Europa, San Benedetto, per lanciare il Manifesto di Subbiaco , che si rifà al pensiero di Papa Ratzinger, che proprio a Subbiaco tenne un celebre discorso sui rapporti tra Europa e Cristianità.
Baccini si schiera fuori della linea dei «cattolici democratici» divenuti cattolici «adulti», cioè decisi a subordinare alla loro autonomia politica le decisioni che la Chiesa ritiene non negoziabili. Si stacca cioè dalla cultura che, dopo Moro, venne dominante nella Democrazia cristiana. Con questo si allinea su una posizione culturale diversa da Casini, che ha fatto del dialogo con i cattolici «adulti» il punto di riferimento della sua politica.
Casini rimarrà un primo, ma un primo tra i pari. Sarà così in discussione al congresso dell’Udc il tema del centrodestra e dei rapporti con il carisma di Berlusconi. All’intesa con Forza Italia non è stata contrapposta un’alternativa; e l’uscita di Follini dal partito è la prova che l’Udc non riteneva possibile l’apertura al centrosinistra. Rimanendo di centrodestra il partito resta consonante al suo elettorato democristiano di destra anche se è d’obbligo definirsi di centro. Forse dopo il congresso le «due opposizioni» appariranno più simili.