di Filippo Facci
«Qui si fa l’Italia e si muore / dalla parte sbagliata si muore». Quasi nessuno, oggi, sa che l’ex azionista Leo Valiani scrisse dei ragazzini morti a Salò già una trentina d'anni fa, quasi nessuno ha letto i libri di Renzo De Felice, quasi nessuno sa che ne parlò anche Luciano Violante nel 1996, e pochi, tutto sommato, ne hanno letto sui libri di Giampaolo Pansa senza essere già appassionati dell’argomento. Forse il dramma di Salò, tra i giovani di oggi, è stato metabolizzato più grazie a una meravigliosa canzone di Francesco De Gregori che grazie a lustri di vacuo parolame. «Il cuoco di Salò», brano fuori da ogni canone scritto da De Gregori nel 2001, è stato oltretutto raccontato nelle università italiane da Roberto Vecchioni, cantautore pure lui di sinistra. È la storia appunto di un cuoco, a Salò, che pensa fondamentalmente a sé, che lascia la Storia sullo sfondo, che neppure sa se a sparare sui monti siano banditi o eroi o americani. È l’antieroe della vita reale, il fatalista disinformato, l’italiano vero del «Tutti a casa» di Alberto Sordi, triste ma pietoso nell’accomunare nel delirio di una sola morte i soldati, i giovani, i ragazzini: anche quelli che stanno dalla parte sbagliata. È un uomo, diversamente da molti di noi, ancora capace di provare pietà. «Se quest’acqua di lago potesse ascoltare / quante storie potrei raccontare ’stasera / quindicenni sbranati dalla primavera».