Alle ore 12 di oggi martedì 16 settembre il governo accelera sulla questione Alitalia: il ministro del Welfare Maurizio Sacconi chiede una chiusura della trattativa entro domani, 24 ore in anticipo sulla tabella di marcia fissata dai sindacati.
Ci si riuscirà? A questo punto non dipende più dall’esecutivo, che ha fatto interamente il proprio lavoro e dovere, e probabilmente anche più. La questione è nelle mani dei sindacati, i quali, come ha ripetuto Silvio Berlusconi, hanno di fronte un bivio: “O un’assunzione di responsabilità o il fallimento della compagnia”.
Parole che la sinistra (politica e sindacale) cerca ancora, con sempre minore convinzione, di strumentalizzare come una forzatura.
È vero il contrario, e lo si puo dimostrare dati alla mano.
•Berlusconi aveva promesso fin dall’inverno scorso che sarebbe stato in grado di riunire una cordata d’imprenditori italiani di primo livello per evitare la svendita ad Air France tentata dal governo Prodi, e l’ha fatto;
•Gli industriali guidati da Roberto Colaninno e Banca Intesa non sono affatto degli speculatori pronti a rivendere appena possibile, come dimostra il vincolo a non cedere le azioni per 5 anni, ed a mantenere nei successivi il 51% in mani italiane;
•Non si tratta neppure di una “compagnia di bandierina”, come ha ironizzato il Pd, visti gli impegni consistenti ad allestire una flotta competitiva, anche grazie ad un ulteriore immissione di 60 nuovi aerei, con nuove rotte, ottenuto con la moral suasion dello stesso Berlusconi;
•Né abbiamo di fronte dei “macellai sociali” (parole di Veltroni ed Epifani), considerando che ciò che si chiede ai dipendenti è una sostanziale parità di trattamento economico in cambio di una maggiore produttività, in linea con i concorrenti europei, e della rinuncia ad alcuni privilegi del tutto assenti in altri contratti. Esattamente la filosofia di questo governo fin da quando ha detassato gli straordinari, legando i benefici economici alla produttività.
•Gli esuberi vengono ulteriormente ridotti a poco più di 3.000, la metà di quanto previsto con la vendita ad Air France, e sarà cura del governo ricollocarli adeguatamente, cioè non con lavori fasulli a carico del contribuente.
Vale la pena di soffermarci su queste ultime novità perché sono indicative del modo di agire del premier e del governo.
Innanzi tutto in un periodo negativo per la congiuntura economica mondiale, Berlusconi si comporta in maniera “anticiclica”. Prodi avrebbe venduto, anzi svenduto, di corsa. Berlusconi ha sempre ritenuto, da imprenditore prima ancora che da politico, che proprio le crisi finanziarie andassero sfruttare per trarre da necessità virtù.
In concreto, il fallimento della vecchia Alitalia e l’incertezza economica mondiale suggeriscono di conservare al Paese non solo la compagnia di bandiera, privatizzata, che ha l’opportunità di rilanciarsi senza i fardelli del passato, ma anche un cospicuo indotto nel settore aeronautico. Si tratta in particolare del cargo e della manutenzione pesante. Quest’ultima si era specializzata nei vecchi MD 80, destinati ad uscire di linea, e non avrebbe avuto più mercato. Radicata prevalentemente al Sud e a Napoli, con l’offerta Air France la manodopera sarebbe rimasta abbandonata a se stessa, o meglio trasferita allo scatolone vuoto, eredità dell’Iri, in puro stile Prodi.
Il governo ha individuato un’opportunità di sviluppo, riconvertendo la manutenzione ad una gamma più ampia di apparecchi, con l’ambizione di farne un polo mediterraneo per questa attività.
Stesso discorso per il cargo, il trasporto merci che il piano Prodi avrebbe chiuso. È un settore in espansione, tanto che vari imprenditori italiani ed europei si sono offerti di rilevarlo a parte. Avrà quindi un nuovo impulso – secondo l’idea iniziale di Bruno Ermolli, storico consulente di Berlusconi - indipendentemente dalla futura Alitalia che dovrà focalizzarsi sul suo business di trasporto passeggeri.
In definitiva Berlusconi ed il governo hanno messo sul tavolo un piano industriale globale non solo per l’Alitalia, ma per l’intero settore aeronautico. Dove il Paese vanta tradizioni di eccellenza, basta pensare alla Finmeccanica. Un settore promettente di ricadute non solo per l’occupazione ma anche per la ricerca.
Il governo si è mosso a 360 gradi contro la crisi aziendale ed economica. La sinistra avrebbe preferito fuggire a gambe levate, come già a suo tempo dalla siderurgia, dalla telefonia e dall’informatica.
I sindacati hanno ora la responsabilità della parola ultima. Ma non c’è dubbio che l’opinione pubblica ha capito benissimo qual è la posta in gioco, che va oltre l’Alitalia; e chi ha operato per l’interesse generale, e chi – a causa della sua storica incapacità economica - voleva solamente ammainare bandiera.