Quando leggo le polemiche sulla scuola mi pare di assistere a un film giallo. Chi è l’assassino? Chi l’innocente ingiustamente sospettato? Gli ultimi dati Ocse sulla scuola italiana sono pessimi, ma purtroppo non sorprendenti. I nostri giovani laureati tra i 25 e i 34 anni sono il 17 per cento, il 33 nell’Ocse. Stiamo sotto il Cile e il Messico. I nostri diplomati sono il quindici per cento meno della Grecia e il cinque per cento meno della Slovenia. Sappiamo che i nostri ragazzi hanno la peggiore preparazione d’Europa in fatto di matematica e lingue straniere. Con una differenza: nel Nord Est siano ai vertici, nel Sud nei bassifondi. Non è il valore dei singoli insegnanti in discussione: è l’intero sistema sociale che ruota intorno alla scuola a fare acqua. Ma appena il ministro Mariastella Gelmini ha detto che bisogna addestrare meglio i ragazzi del Sud per metterli in condizione di superare i test internazionali è scoppiata la rivoluzione.
Walter Veltroni, persona seria che occupa come leader dell’opposizione un posto di grande responsabilità, ha lanciato per fine mese una grande mobilitazione popolare contro la Gelmini. Ha detto in televisione che il tempo pieno sarà di fatto azzerato, le donne non sapranno più dove tenere i figli mentre lavorano, nei piccolissimi centri saranno chiuse le scuole. Fosse davvero così la Gelmini andrebbe rimossa a furor di popolo. Ma è così? Senti il ministro e ti dice invece che il tempo pieno alle elementari sarà aumentato del cinquanta per cento. Non ridotto, non dimensionato. Aumentato della metà. Come? Semplice. Se al mattino torna il maestro unico, gli altri potranno occuparsi del pomeriggio. Dunque? E le scuole nei piccolissimi centri? Nessuno pensa di chiudere gli istituti nei centri isolati o montani, dice il ministro. Lì prevale ovviamente l’obbligo sociale. Ma ha senso tenere un insegnante ogni 9.7 alunni quando la medie europea è di dodici? I piccoli centri esistono soltanto in Italia?
L’Italia spende per la scuola come la media europea: 3.5 per cento del Pil. Ma il 97 per cento se ne va per stipendi. Da fame. I peggiori d’Europa. Se una persona di buonsenso ha un numero di insegnanti superiore alla media e retribuzioni sotto la media che fa? Riduce gli insegnanti e aumenta le retribuzioni. E invece no, scoppia la rivoluzione e il 15 settembre in molte scuole gli insegnanti minacciano di presentarsi con il lutto al braccio. Quando il lutto dovrebbe indossarlo il Paese.
La scuola, cardine del futuro di ogni nazione, in Italia è diventata uno stipendificio. Risulta che negli ultimi dieci anni siano stati realizzati fantastici investimenti tesi a migliorare la qualità complessiva dell’insegnamento con risultati adeguati? No? E allora come mai i 32 miliardi di euro spesi nel ’99 sono diventati i 43 di oggi? Gli otto miliardi di risparmio programmati per i prossimi tre anni dalla Gelmini non tagliano la spesa attuale. Eviteranno lo sfondamento del tetto dei 50 miliardi. Gli insegnanti rappresentano tradizionalmente lo zoccolo duro dell’elettorato di sinistra. Si capisce dunque che il Pd voglia difenderli. Il problema è di mettersi d’accordo su che cosa significhi la difesa di una categoria vitale per il nostro futuro. Un insegnante frustrato e malpagato serve a poco. Perché non tentare una svolta? L’Ocse dice che l’85 per cento dei genitori è soddisfatto della scuola italiana. Beati loro. La domanda successiva dovrebbe essere: mantenete lo stesso tasso di soddisfazione sapendo che tra i vostri ragazzi ci sarà il più alto numero di disoccupati europei e che in ogni caso essi cominceranno a lavorare molto più tardi degli altri?