di Stefano Filippi
Uno spettro si aggira negli uffici della Cgil: è il Galles, la penisola britannica dove un quarto di secolo fa si consumò lo scontro tra i sindacati dei minatori e Margaret Thatcher. La Lady di ferro vinse, le Unions persero e si avviarono verso il viale del tramonto. Dopo aver piegato la testa nella trattativa Alitalia, Guglielmo Epifani tiene a far sapere che è vivo, continua a lottare assieme ai suoi e non vuol fare la stessa fine dei colleghi d’Oltremanica. Per ricordarcelo, bastava un’intervista all’Unità. Invece il leader della Cgil ha voluto strafare e ieri ha organizzato una serie di manifestazioni in 200 piazze italiane.
Il segretario del sindacato rosso ha ripetuto le solite parole d’ordine: «Vogliamo dire al governo di svegliarsi», «non siamo contro ma per». E poi la frase rivelatrice: «Hanno cercato di mettere la Cgil all’angolo, ma non ci sono riusciti». Sceglie la metafora del ring, dove un pugile sull’orlo del ko mena cazzotti all’impazzata per dimostrare che riesce ancora a stare in piedi. Ma i colpi ricevuti si sentono, pesano, e il povero Rocky Epifani deve sbracciarsi per continuare a illudere chi ha puntato su di lui. E così la Cgil abbandona la via riformista imboccata controvoglia l’altro giorno al tavolo Alitalia, dimentica «l’atto di responsabilità e di salvaguardia della dignità dei lavoratori assunto in una situazione di quasi fallimento» (sono parole del segretario) e ritorna sulle barricate, ritrovando la strada dello sciopero e rispolverando i toni minacciosi del Signornò.
La storia degli ultimi giorni è nota. Al culmine della trattativa per la compagnia aerea, nella notte dei lunghi coltelli e dei grandi macelli, la Cgil tenta il colpo dello sfascio obbedendo a motivi politici e non alle ragioni dei lavoratori. Epifani e Veltroni, il suo suggeritore, si trovano in un vicolo cieco, il primo isolato dalle altre confederazioni, il secondo dai suoi compagni di partito più avveduti, Bersani ed Enrico Letta in testa, contrari al gioco al massacro. Segue retromarcia, ripresa della trattativa, firma dell’accordo Alitalia. Sembrava aperta una pagina nuova nei rapporti sindacali, quella svolta che tutti si auguravano.
Ma l’inchiostro sui protocolli non ha fatto in tempo ad asciugarsi che la Cgil «responsabile» si era già messa in testa l’elmetto tornando a essere quello che è sempre stata: la punta avanzata del partito del no, l’ultima barriera contro le riforme, il garante dell’immobilismo contrabbandato come difesa dei diritti acquisiti. Nella sostanza, il braccio della sinistra che si ammorbidisce soltanto quando il partito di riferimento è al governo. L’«atto di responsabilità» nella vicenda Alitalia è stata una parentesi, l’eccezione che conferma la regola in una situazione tanto drammatica quanto irripetibile.
Ieri dunque sono andate in scena le 150 mobilitazioni «contro la politica economica e sociale del governo fatta di tagli»: vista la partecipazione tutt'altro che oceanica, la faccenda sarebbe filata via sotto silenzio se non ne avessero largamente parlato i Tg Rai. Poi toccherà alla riforma del sistema dei contratti, per i quali la proposta di Confindustria è già stata definita «irricevibile» in quanto «i lavoratori perderebbero di più di quello che guadagnano oggi».
Ma Epifani ha aperto un nuovo fronte di scontro, quello della scuola. «Se le cose non cambiano ci sarà lo sciopero generale di tutta la scuola», ha minacciato. Senza discussione né confronto con le altre maggiori confederazioni (ma sperando in «un’iniziativa unitaria»), la Cgil parte all'attacco di uno dei cardini del governo Berlusconi, la riforma Gelmini. Dietro ai soliti slogan sui presunti favori agli istituti privati e sui tagli all’organico e agli orari, ecco il soccorso rosso alle difficoltà del Partito democratico. L’opposizione che latita in Parlamento trova la solita sponda nella più grande organizzazione di lavoratori. La quale, incapace di farsi carico degli interessi generali del Paese, non conosce altra soluzione che quella della piazza, della paralisi, dei veti sempre e comunque.
La controsvolta ha sorpreso perfino gli altri sindacati. «Non ho capito perché la Cgil ha abbandonato il convoglio unitario per farsi una sua manifestazioncina. È un mistero - ha detto Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl -. Ho saputo di questa iniziativa a mezzo stampa. Questo ci ha molto offeso e molto preoccupato perché la Cgil, più che dare forza al movimento sindacale, sta rovinando un ottimo lavoro fatto negli ultimi due anni e mezzo». Così, chiuso il capitolo Alitalia, assieme alla svolta riformista anche l’unità sindacale ha preso il volo.