Un crollo delle Borse da infarto, peggiore di quello del 1987, perché allora tra l’altro non s’erano vietate le vendite allo scoperto. E poi perché il panico è arrivato in Europa dopo aver covato silente e lento per settimane, nelle quali gli europei tutti, cittadini e governanti, si sono troppo incantati a guardare oltre Oceano. Sempre più preoccupati, ma ancora ipnotizzati: ad approvare o biasimare la scelta americana. Dimenticandosi che giusta o no, quella di Paulson e delle aristocrazie venali americane almeno era, ed è stata, una scelta. Ben più colpevole in uno stato di eccezione, come questo presente, è infatti non scegliere. Perdersi in un fine settimana dei governi a Parigi il cui risultato percepito è stato infine l’accordo sul disaccordo, belle parole, pochi fatti. Conclusi come niente fosse domenica poi dalla notizia che il salvataggio di Hipo Real era saltato, con un buco da coprire che solo in Germania e per quella sola banca potrebbe costare circa al deficit di una nazione come l’Italia. Ovvio, inevitabile direi, il panico.
Iniziare il vertice di Parigi con la proposta di Sarkozy per una specie di bail out bancario organizzato dai governi europei, e salutarsi senza averlo ottenuto, è stata non piccola leggerezza. In una crisi, come non se n’erano viste dagli anni Trenta, fare l’invito e in pubblico alla Germania è stata un’imperdonabile ingenuità francese. Né i tedeschi del resto hanno poi loro fatto meglio. Angela Merkel in televisione sabato ha promesso che tutti i depositi verranno protetti. Ma, come maligni per ripicca hanno subito osservato gli inglesi, non è molto chiara la legislazione utile per mantenere la promessa. E intanto la Spagna però si offendeva, invece di pensare ai guai dei suoi di mutui, che, come quelli del Benelux, non sono solo un male importato da oltre Oceano. Seguiva nei vari notiziari la bomba del piano di salvataggio della banca tedesca saltato, il che, tradotto, ha significato che qualche banca tedesca salvatrice già non si sente tanto meglio di quella da salvare. Dopodiché l’Irlanda faceva di testa sua: garantendo i depositi e persino le altre passività delle sei maggiori, e irritando la Bce; la vera bella addormentata di questa crisi. Perché non occorre essere degli Adamo Smith per chiedersi cosa aspetti ancora ad abbassare i tassi. Né è mancata l’Islanda, terra lontanissima e di vichinga praticità, ma con la Borsa al collasso.
Insomma un po’ troppo da digerire, non fossimo già al punto dove siamo. E nel quale servono invece atti concreti. Perché i mercati finanziari e le economie reali europee sono più integrati della sua politica. E perciò non va bene che Gordon Brown si sfoghi, dicendo l’ovvietà che questa crisi è colpa degli Usa. Tantomeno bastano le tautologie di Trichet: è lapalissiano che non abbiamo un bilancio federale europeo, e non siamo una federazione politica. Insomma basta. Si capisca che occorre agire, non chiosare, in questa prima volta di una crisi in cui l’Europa è senza paracadute, messa alla sua vera grande prova. E pensabile che si lascino i tassi a questi livelli mentre è chiaro da prima della estate che si sta ormai covando una deflazione tremenda, e si rischia che evolva in depressione mondiale? Per quanto tempo ancora si può evitare di imporre, e assistere, la ricapitalizzazione di tante banche, e sono la più parte, che si possono salvare? E quanto dobbiamo attendere, poi, perché le varie eminenze mandarine della Ue a Bruxelles, prendano atto dell’evidenza? Rivedano, sospendano Maastricht. Considerando che il salvataggio di una banca tedesca da sola, da parte dello Stato, farebbe saltare i deficit. Il vantaggio di una crisi grave è che in stato di eccezione, il gioco diventa scoperto, chiaro a tutti: si vede chi comanda davvero. E ora che ce lo dimostrino.