A Walter Veltroni, che parla di razzismo e accusa “la destra populista di fomentarlo, alimentando le paure degli italiani contro gli immigrati”, suggerirei la lettura dei libri di Marzio Barbagli. Da anni il sociologo di Bologna compila un rapporto sullo stato della criminalità in Italia e in particolare su quella d’importazione. L’ultimo volume è appena uscito e il professore, che è di sinistra, rivela che a lungo lui stesso si rifiutò di credere che i processi migratori avessero una qualche influenza sui reati commessi in Italia. La sua formazione politica gli impediva di leggere i dati che aveva sotto gli occhi. Quando pubblicò la sua prima ricerca, in cui si evidenziava la relazione tra criminalità e immigrazione, alcuni colleghi gli dissero che rendere pubblici quei risultati era pericoloso, altri gli tolsero il saluto.
La reazione del mondo accademico non mi stupisce, così come non mi sorprende quella di molti politici. Spesso l’ideologia impedisce di vedere la realtà. E la realtà è che l’Italia non è affatto un paese razzista, semmai un paese spaventato.
A pagina 90 pubblichiamo un accurato sondaggio da cui si capisce che qui non si cova alcun sentimento di intolleranza razziale; nell’intervista raccolta da Bianca Stancanelli, lo stesso Barbagli spiega che la reazione nei confronti dello straniero è dovuta a insicurezza, a preoccupazione per il proprio futuro e per la propria incolumità. Non c’entrano niente le campagne della Lega e neppure i giornali, come invece continuano a ripetere molti intellettuali e, ahimè, anche molti politici, i quali, evidentemente, pensano che gli italiani siano un popolo di pecoroni facilmente ingannabile con qualche slogan.
Le ricerche dimostrano che la paura degli immigrati non nasce dalle manipolazioni di qualche partito o dei mass media, ma da un sentimento diffuso, che tocca di più le regioni del Sud e del Centro, dove Umberto Bossi non ha grande presa sugli elettori. Ma, se ancora vi fossero dubbi, i dati dell’ultima ricerca di Barbagli tagliano la testa al toro.
Riassumo: nel 2007, su circa 9.300 persone denunciate per furto in appartamento, quasi il 53 per cento era straniero e di poco inferiore era la percentuale di immigrati arrestata per una rapina in casa; per quanto riguarda il borseggio si sale addirittura al 68 per cento. Nel Nord, la quota di stranieri accusati di questi reati è superiore alla media nazionale: si arriva al 57 per cento dei denunciati per rapina in strada, al 59 per rapina in casa, al 71 per borseggio. Eppure, come si evince dal sondaggio della Demos che La Repubblica ha pubblicato la scorsa settimana, sono le regioni rosse più di quelle del Nord a vedere gli immigrati come un pericolo.
Appare chiaro che esiste un rapporto diretto tra immigrazione e criminalità e chi lo denuncia non influenza un bel nulla: semplicemente descrive una situazione che gli italiani già conoscono e la cui percezione è indipendente dalle dichiarazioni dei politici, tanto è vero che la preoccupazione è più forte là dove il centrodestra è più debole.
Quasi 10 anni fa, un altro sociologo, certamente non leghista, come Luciano Gallino scriveva che il preoccupante degrado del tessuto sociale di alcune città era collegabile al flusso incontrollato di immigrati, i quali avevano trasformato certe zone urbane in brutte copie del suq di Marrakech.
Era razzismo quello di Gallino? No, era l’osservazione di uno studioso. Nelle sue parole non c’era alcun tentativo di orientare gli italiani, semmai di decifrare un fenomeno, di anticipare un disagio. Lo stesso fenomeno che alcuni politici continuano a non voler vedere. Se, al posto di dichiarare, cominciassero a studiare, probabilmente sarebbero meno preoccupati per il razzismo e di più per il troppo buonismo.
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