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 GELMINI: Maestro unico,voto in condotta e formazione dei docenti per una scuola di qualità Data: 15/10/2008
Appertiene alla sezione: [ Politica Nazionale ]
Proponiamo l’intervista del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini al quotidiano online "ilsussidiario.net" di mercoledì 15 ottobre 2008

Ministro Gelmini, ora che il testo del decreto è statoapprovato in aula le vorrei chiedere di spiegare a tutti, studenti, famiglie e docenti qual è sinteticamente il contributo utile e positivo che la scuola italiana ottiene da questa legge: cioè, in che cosa potrà migliorare la nostra scuola?

Parto dalla novità più contestata: la reintroduzione del maestro unico, anzi, come occorrerebbe dire, del maestro al posto del modulo. Mi è stato contestato di essere partita a cambiare un sistema di eccellenza, ma è proprio così? Cosa misurano i test internazionali? La capacità di lettura di un testo. Ebbene, è una competenza che viene rapidamente persa, come mostrano le prove degli anni successivi. Resta un fatto: e cioè che i “figli” della riforma del 1990 hanno visto crollare la loro capacità di leggere, scrivere, far di conto. Insomma, le basi, le fondamenta su cui poi costruire un percorso di istruzione in grado di andare anche oltre gli anni di scuola o di università. Il contrario di quanto capita. Il maestro è una scelta pedagogica forte, che torna a individuare una figura di riferimento per i bambini, mentre la scelta del 1990, quando il modulo venne introdotto, fu occupazionale ed ebbe anche il risultato di bruciare miliardi di risorse che sarebbero potuti servire per gli investimenti, a partire dall’aumento degli stipendi per gli insegnanti. Secondo punto, la duplice previsione dell’insegnamento di “Cittadinanza e costituzione” e la reintroduzione del voto in condotta vogliono innestare un processo vero di alfabetizzazione civile, che parte dalla conoscenza delle regole e dal loro rispetto. Terzo, la reintroduzione dei voti in decimi vuole contribuire a ridare chiarezza alla scuola. Quarto, è previsto un nuovo impulso all’edilizia scolastica. Ogni edificio scolastico è, in fondo, il biglietto da visita con cui la Repubblica si presenta ai futuri cittadini. Se una scuola, per usare una fortunata espressione che vorrei un giorno consegnare alla storia, è “sgarrupata”, anche l’istituzione pubblica e l’istruzione verranno considerate “sgarrupate”.


Il fronte sindacale sembrava fino a qualche giorno fa unito intorno alla proposta di sciopero generale; ora invece sembra che alcuni posizioni siano ancora aperte. È possibile secondo lei che si arrivi a trovare un accordo almeno con una parte del sindacato?


Io spero ancora che il richiamo alla ragionevolezza vinca sul richiamo della foresta e sulla paura del cambiamento. E’ stato così per la vicenda Alitalia, del resto, dove le frange conservatrici del sindacato sono rimaste isolate. Capisco che sul terreno della scuola, che coinvolge milioni di persone, questo processo sia più complicato. Ma non mi arrendo e guardo con attenzione sia alle aperture del segretario generale della CISL Raffaele Bonanni che del segretario generale della Uil Angeletti. La scuola deve passare da essere terreno di scontro privilegiato a terreno di confronto privilegiato. Si tratterebbe di una vera rivoluzione culturale, per attuare la quale sarebbe necessario mettere da parte da un lato gli interessi corporativi e la difesa della situazione attuale, dall’altro di utilizzare la scuola per altri scopi: e cioè per dare fiato a una opposizione a tutt’oggi in crisi di idee e proposte. Ci sono due slogan che rendono difficile il processo riformatore in Italia. E cioè il benaltrismo (“ma la questione è ben altra!”) e il “piùsoldismo”, l’illusione che ogni problema si risolva concedendo più risorse. La storia italiana è piena di esempi dove “benaltrismo” e “piùsoldismo” hanno prodotto spreco di risorse e incancrenirsi dei problemi. Se un motore è guasto, è inutile e controproducente mettere più benzina nel serbatoio. Io dico aggiustiamo il motore, restituiamo alla scuola i compiti che le sono propri, innalziamo il livello di qualità avendo al centro i nostri ragazzi e il loro futuro.


Guardiamo al futuro, e alle prossime scelte che lei affronterà. In alcune dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi lei ha rilanciato il tema della trasformazione delle scuole in fondazioni: quale sarà il percorso concreto per arrivare a questo modello di governance delle scuole, la cui positività è testata a livello internazionale?


La possibilità di trasformare le scuole in fondazioni è attualmente oggetto di dibattito alla commissione cultura della camera dei deputati a partire dal progetto di legge presentato da Valentina Aprea. Io spero che il confronto metta per una volta da parte le lenti delle ideologie e affronti il dibattito nei suoi termini reali. Per intenderci, farneticare di fondazioni come forma di “privatizzazione” della scuola mi sembrerebbe assolutamente fuori tema e frutto della volontà di disinformare. La domanda giusta è un’altra. Si tratta o meno di una opportunità per le “scuole dell’autonomia”, una autonomia, peraltro, rimasta in larga parte sulla carta? E’ in grado di attrarre nuove risorse dalla società? Ci consente di creare un nuovo rapporto, anzi, di tornare a gettare un ponte tra scuola e società? Io credo di sì. Il presupposto per un dibattito sereno e costruttivo è che si parta dalla realtà, non dalle sovrapposizioni ideologiche o peggio dietrologiche.

Un aspetto positivo delle scuole paritarie è che in molti casi sono scuole costituite in fondazioni dove il dirigente ha il potere di decidere, dove gli insegnanti sono adeguatamente motivati. Guardo pragmaticamente alla realtà, agli esempi positivi per declinarli in tutto il paese.


Il discorso della governance delle scuole e dell’autonomia va di pari passo con quello della positiva concorrenza fra scuole e quindi della libera scelta da parte degli utenti. Lei ha più volte usato parole di apprezzamento per il sistema lombardo della “dote scuola”: come questo sistema può diventare un modello anche a livello nazionale?


La Regione Lombardia è da sempre una delle punte di lancia dell’innovazione. Vorrei ricordare quanto realizzato, in materia di secondo ciclo dell’Istruzione, da Marino Bassi, che arrivò a sperimentare in Lombardia quanto poi è confluito nella Legge Moratti: e cioè la possibilità reale di innalzare il livello di scolarizzazione valorizzando anche la formazione personale. Un approccio pragmatico che ho fatto mio, in base al principio che occorre valorizzare il talento di ognuno, cercare percorsi personalizzati che facciano sì che ogni ragazzo stia bene a scuola e trovi a scuola gli strumenti per realizzare il proprio progetto di vita. La dote scuola ha rappresentato una importante innovazione, partita dal precedente buono scuola e da un sistema di borse di studio e contributi assolutamente all’avanguardia. Si tratta di esperienze estremamente positive, soprattutto perché partono da due presupposti: la libertà di scelta delle famiglie e la loro valutazione “dal basso” dei servizi.


Quale percorso prevede invece per introdurre quella differenziazione di carriera per i docenti che può essere la sola base della valorizzazione di questa tanto importante quanto snobbata professione?


Uno dei miei obiettivi di legislatura è di ridare agli insegnanti uno status sociale ed economico all’altezza della loro missione. L’inverso di quanto purtroppo è successo in Italia, dove si è preferito dare poco a molti chiedendo poco in cambio. Nella scuola che ho in mente sarà del tutto normale che un docente preparato, impegnato e responsabile sia destinato ad avere un premio per il proprio lavoro. Io ritengo realistico pensare a riconoscimenti fino a 7 mila euro l’anno, per dare un ordine di grandezza, che verranno erogati gradualmente già a partire dal 2010-2011, a un numero di docenti inizialmente più limitato ma che entro la fine della legislatura coprirà una percentuale rilevante. Ai tantissimi docenti che in questi anni hanno mandato avanti la scuola, spesso anche con sacrifici, penso che dobbiamo guardare con riconoscenza, e non solo a parole, come si è fatto finora, ma finalmente con iniziative concrete. Le risorse necessarie deriveranno da un recupero di efficienza del sistema scolastico e amministrativo e dai risparmi, il 30 per cento dei quali - come ha previsto la recente legge n. 133 - verranno reinvestiti per lo sviluppo della carriera. In particolare attraverso l’eliminazione degli sprechi e la riqualificazione della spesa realizzeremo economie per 7.8 miliardi di euro entro il 2012. Ne reinvestiremo oltre 2 miliardi di euro nel triennio 2010-2012, e in particolare 956 milioni a partire dal 2012. E in prospettiva ci poniamo l’obiettivo di arrivare a stipendi più elevati. Ma c’è un altro aspetto del problema da mettere al centro dell’agenda politica. Per troppo tempo si è ritenuto che chiunque potesse fare l’insegnante e per troppo tempo si sono riempite le graduatorie, creando sacche di centinaia di migliaia di precari. Occorre intervenire sui meccanismi di formazione degli insegnanti e di selezione, per impedire che persone inadeguate entrino in aula e mettere fine allo sconcio di docenti che entrano di ruolo a quarant’anni. E occorre dare agli insegnanti una prospettiva di carriera legata al merito e non agli scatti di anzianità. Il che non può essere fatto senza un sistema di valutazione serio e condiviso dei risultati della didattica, che tenga conto delle situazioni di partenza e misuri i progressi fatti.


Quali altre novità ci potranno essere nel prossimo futuro? Si è parlato anche di un cambio per quanto riguarda la maturità…


Una commissione ministeriale è già all’opera e attendo il risultato del loro lavoro. Le proposte, comunque, potranno vedere la luce a partire dalla maturità 2009/2010. C’è invece un aspetto su cui vorrei concentrami. E’ riassunto dalla parola semplificazione. Abbiamo meccanismi burocratici che appesantiscono la vita dei docenti. Il docente non è chiamato più solo a insegnare, ma ha una serie di incombenze, di riunioni, di adempimenti burocratici che non servono a nulla. E non parliamo dei dirigenti scolastici, soffocati dalle scartoffie. Allora diamo un taglio alla burocrazia, semplifichiamo il linguaggio anche delle circolari, riduciamo il numero delle norme che nel corso dei decenni si sono stratificate dando vita a una legislazione farraginosa, contraddittoria, spesso incomprensibile. Soprattutto, ricostruiamo un linguaggio comune alla comunità scolastica, comprensibile per i genitori e per gli stessi studenti.

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