di Augusto Minzolini, da Panorama
A un anno dalle primarie che elessero Walter Veltroni leader del Pd, il nuovo partito appare sempre più il prodotto dì una fusione fredda. I soggetti che diedero vita alta nuova formazione sono rimasti divisi e hanno preservato la loro identità attraverso la creazione di correnti militarizzate: i convegni non si contano e addirittura sono nate delle tv di parte. Addirittura i gruppi si sono moltiplicati: al posto dei Ds ci sono veltroniani e dalemiani; sopravvivono gli ulivisti; non tramontano i popolari.
Appunto, gli ultimi reduci del Ppi sono ancora lì, stretti attorno all'asse di ferro formato da Franco Marini e Giuseppe Fioroni. E grazie a una rendita di posizione entrano in tutti i possibili ticket di vertice del partito: quello attuale, con Dario Franceschini vice di Veltroni; e quelli futuri, se fosse messo in opera il solito regicidio, con Franco Marini padre putativo di un partito guidato da Massimo D'Alema o da Pierluigi Bersani. Da bravi ex Dc, reclamano ruoli e poltrone, ma non sì sa bene in nome di cosa se non di un eroico passato sempre più remoto.
Di consenso, infatti, da queste parti ce n'è ben poco. Quelli che avevano qualche voto (vedi Ciriaco De Mita) se ne sono andati. Senza contare che un Silvio Berlusconi che viaggia (ultimo sondaggio) su indici di gradimento del 70 per cento lascia a secco chi si atteggia ancora come un riferimento dell'elettorato di centro.
Il ruolo sovrastimato dei popolari è probabilmente l'immagine plastica dei limiti del Pd: il nuovo partito in realtà non è mai nato, è rimasto una federazione in cui vecchie identità bloccano ogni evoluzione, ogni processo di modernizzazione. Eh sì, perché gli ex popolari hanno pochi voti, ma un impianto ideologico rigido che non ammette eresie: ogni riforma istituzionale che renda più efficace e veloce il processo decisionale è considerata da quelle parti una svolta autoritaria, la premessa di un nuovo ventennio. C'è anche da capirli: un vero processo di modernizzazione li renderebbe antiquati.
Nella loro testa il Pd va bene fino a quando permette al passato di sopravvivere. E questa posizione che garantisce gli ultimi mohicani della Prima Repubblica è uno dei motivi per cui il Pd, condizionato da questa sorta di zavorra, non decollerà, semmai subirà qualche involuzione.
Per esempio, è probabile che in caso di sconfitta alle elezioni europee i popolari impongano che il successore di Veltroni sia designato dal solito caminetto di capitribù. Secondo t'immarcescibile rituale democristiano di cui sono rimasti gli ultimi custodi.