di Giuseppe di Federico
Su segnalazione di un amico ho preso visione dell’articolo di Giorgio Bocca pubblicato questa settimana dal settimanale L’Espresso sotto il titolo «L’eterno fascismo italico». Nella seconda parte dell’articolo Bocca ci spiega come Silvio Berlusconi rappresenti la reincarnazione del fascismo, argomento che i suoi lettori mi dicono essere ricorrente nei suoi scritti. Per arrivare a queste non nuove conclusioni, tuttavia, Bocca copre anche me di «contumelie antifasciste» utilizzando un articolo da me pubblicato su questo giornale il 4 ottobre scorso dal titolo «Io, ex ragazzo di Salò non riconosco a Violante il diritto di legittimarmi».
In verità più che utilizzare quel mio articolo Bocca lo manipola a suo piacimento, usando frasi che io riferisco al presente come se si riferissero al passato e facendomi dire cose che non ho scritto. Scrive, ad esempio, che chi come me rifiuta «il diritto degli italiani occupati dai nazisti a tradire l’alleanza voluta da Mussolini per paura e convenienza, più che per ragioni ideologiche, rifiuta il diritto umano a scegliere tra il giusto e l’iniquo». Chi voglia rileggere il mio articolo può verificare che in esso non appare nessuna affermazione del genere. In quell’articolo mi sono limitato a ricordare la mia brevissima esperienza di ex ragazzo di Salò e non mi sono per nulla occupato delle scelte altrui. Ho ricordato quella mia lontana esperienza - lontana e diversa dai miei successivi impegni politici - al solo fine di rigettare l’idea che potesse avere l’autorità morale per «assolvermi» chi, come l’onorevole Violante, era divenuto comunista negli anni ’70 pur essendo pienamente cosciente dei crimini commessi da Stalin e dai suoi successori.
Nel mio articolo dicevo anche che preferivo i comunisti che non perdonano la mia scelta di allora piuttosto che quelli che pretendono di «assolvermi». Faccio tuttavia una certa fatica ad estendere questa mia preferenza anche a Bocca per due distinte e diverse ragioni. In primo luogo perché egli mi sopravvaluta nel ritenere che a 12 anni io fossi tanto precoce da avere piena conoscenza di eventi sconosciuti ai più, e di aver ciò nonostante scelto... «la fedeltà ad una alleato nazista, imperialista, stragista...» senza curarmi «del fatto che gli alleati nazisti stessero mandando nelle camere a gas milioni di innocenti» (voglio sperare che Bocca sia in grado di comprendere l’ironia di quanto appena detto). In secondo luogo perché Bocca è il meno adatto a sentenziare con tanta arroganza, con tanta altezzosa protervia sulle scelte da me fatte a 12 anni.
Non avendo dimestichezza col personaggio Giorgio Bocca sono andato a vedere cosa si scrive di lui sul web, utilizzando il motore di ricerca Google. Alla voce «Biografia e libri» ho trovato che a 18 anni egli ha sottoscritto il manifesto fascista «in difesa della razza italiana», e che «da giovane giornalista fascista nell’agosto 1942 (quando aveva già 22 anni) scrive un articolo in cui imputa il disastro della guerra alla congiura ebraica». Preso da curiosità ho voluto rintracciare quell’articolo e ne ho trovato dei passi alla voce «camelotdestraideale.it» ove si specifica che l’articolo di Bocca è apparso sul giornale La Provincia Granda il 4 agosto 1942 e che in esso Bocca, tra l’altro, scrive «Questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa della guerra attuale... A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea... di essere lo schiavo degli ebrei?». Se gli astiosi rimproveri che Bocca mi rivolge per scelte da me fatte a 12 anni, escludendo perentoriamente che esse siano state fatte in buona fede e purezza di intenti, mi fossero stati rivolti da un ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti ne avrei sofferto, ma avrei taciuto in rispettoso, doveroso silenzio. Non posso certo accettarli da chi, come Bocca a 22 anni, cioè in età già matura, ha scritto articoli in cui si esprimevano orientamenti e convinzioni non dissimili da coloro che nello stesso periodo avevano creato i lager per lo sterminio degli ebrei. Anche se mi rendo conto della sostanziale differenza che vi è tra il dire ed il fare, vi è comunque una comune «cultura», una comune valutazione della pericolosità della razza ebraica. Una postilla. Personalmente ho sempre pensato che sia inelegante scavare nel passato delle persone per ricordare loro comportamenti e convinzioni che hanno abbandonato da moltissimo tempo. Sinceramente mi spiace di non aver potuto evitare di farlo in questa circostanza.