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 IL CIRCO MASSIMO MERITAVA UN VELTRONI MIGLIORE Data: 25/10/2008
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
di GIANCARLO LOQUENZI (da L'Occidentale)


Vorrei provare a fare un’analisi il più possibile imparziale della manifestazione del Pd oggi al Circo Massimo. Non l’ho seguita in prima persona ma dalla diretta di SkyTg24 fin da qualche momento prima che prendesse la parola Veltroni.

Il colpo d’occhio era notevole, l’intero circuito del Circo Massimo era colmo di gente così come tutti gli spalti dal lato dell’Aventino. Si vedevano centinaia di bandiere bianche del Pd e palloni galleggiavano nell’aria che ha trattenuto la pioggia fino all’ultimo. L’entusiasmo degli organizzatori era palpabile; un ragazzo ha detto dal palco: “siamo già due milioni e mezzo e altri stanno arrivando”. Non so fino dove arrivasse la folla, ma l’intero perimetro del Circo – secondo dati forniti dal comune al tempo di Veltroni sindaco – contiene al massimo 400 mila persone.

L’immagine era in ogni caso quella di un successo e di una grande attesa. Il culmine doveva essere la discesa nell’arena di Walter Veltroni. Invece è stato questo il momento in cui il climax si è rotto, il momento in cui quel particolarissimo incantesimo che tiene insieme una piazza politica è andato in frantumi. Un po’ come quando al teatro un rumore imprevisto, un colpo di tosse, risucchia il pubblico fuori dalla rappresentazione e lo riporta alla realtà.

Veltroni è salito sulla pedana messa al livello della folla con un sorriso tirato e la voce già roca. Il suo intero discorso è stato piatto e prevedibile in ogni passaggio. Lo si poteva scrivere tale e quale con la sola rassegna stampa delle sue interviste e dichiarazioni delle ultime due settimane. L’ala dell’immenso pubblico in attesa non gli ha fatto fare neppure un piccolissimo volo. Era un Veltroni da conferenza stampa, non da “una pagina indimenticabile per la democrazia italiana”.

Non è stato un discorso sereno ma un discorso livido e spaventato. Dalla televisione era difficile comprendere le reazioni della gente, ma non ho avuto l’impressione che ne fosse conquistata.

Il cuore semantico del suo intervento è stato questo: l’Italia è meglio della destra che la governa. Tutti i ragionamenti partivano da qui e qui facevano ritorno. Un arma a doppio taglio, perché se anche fosse vero implica un’autocritica feroce alla sua parte che non è in grado di rappresentare quell’Italia migliore, non è in grado di convincerla, di farla venire allo scoperto. E’ una magra consolazione pensare che l’Italia sia meglio di Berlusconi se poi continua a votarlo e a preferirlo ogni volta.

Ma Veltroni non sembrava essersi accorto della contraddizione, così ne ha fatto il lamentoso leit motiv di tutta la manifestazione. Lo ha fatto mettendo la sua piazza in contrapposizione con il resto del paese: “questa è l’Italia vera”, ha detto, “il resto è virtuale”, condannando all’irrealtà chiunque non fosse lì in quel momento. E’ un leader dalla vista corta uno che fa un’affermazione del genere, un leader che si rinchiude con i suoi e pensa che il mondo sia il posto in cui si è rinchiuso.

Non è stato un discorso sereno quello di Veltroni se ha scelto l’apologia dell’antifascismo come incipit della sua narrazione italiana. Sulle note dell’antifascismo è andato allo scontro polemico con Berlusconi, con Alemanno, con il centro destra tutto. Per dire che l’Italia è antifascista e per questo, una volta di più, è meglio di chi la governa. Ma non si salva l’Italia in nome del passato antifascista. Anzi, come scrive Galli della Loggia oggi sul Corriere, è proprio questo uso del passato che rende l’Italia un paese immobile. Veltroni ha irriso Berlusconi, ricordando la volta che rispose a chi gli chiedeva se si sarebbe definito antifascista: “non ho tempo da perdere con queste cose”. “Sarkozy non avrebbe mai risposto così ad una domanda del genere” ha tuonato Veltroni. Il fatto è che a nessuno verrebbe in mente di fare a Sarkozy una domanda del genere, ed è anche per questo che la Francia va meglio dell’Italia.

Non è stato un discorso sereno. A differenza di quanto fece in campagna elettorale, quando si guardava bene dal nominare il suo sfidante, in questo discorso Veltroni ha fatto il nome di Berlusconi più e più volte, puntando il dito e tracciando nell’aria mille accuse concitate, mille motivi di disgusto per l’avversario. E’ tornato a parlare con disgusto dell’idea del potere e del diritto di esercitarlo, ha usato i suoi soliti toni bucolici parlando dell’ambiente, del futuro, del sogno, della poesia, della bontà e della concordia, ma il volto tradiva una rabbia a stento trattenuta.

Quando è arrivato a parlare di cose serie, della crisi economica, delle borse a picco, della povertà che si espande nel paese, delle imprese che chiudono, Veltroni ha fatto un discorso da outsider: ha parlato come uno che per la prima volta getta il suo sguardo sulle macerie di un paese in cui arriva da un esilio lontano. Ha fatto l’inventario esatto e puntiglioso dei mali dell’Italia, come può farlo uno che non c’entra niente, che entra in politica oggi e che non ha condiviso assieme alla sua parte una fetta notevole di responsabilità. Per un gioco maligno della macchina da presa, dietro le sue spalle si vedevano Fassino sbadigliare e D’Alema ridere. E anche la sua piazza non sembrava vibrare all’unisono quando Veltroni cercava di spiegare che tutto il male del mondo, dalla crisi dei sub-prime al pane che aumenta è colpa della destra e di Berlusconi.

Non è stato un discorso sereno né obiettivo quando ha ripetuto che il governo non è adeguato a fronteggiare la crisi di questi, e che ci vorrebbe ben altro, ma non ha saputo dire cosa. E se uno guardava dietro le sue spalle, al suo governo ombra, leggermente sfocato dalla lontananza, non aveva la sensazione di una squadra di pronto intervento. Veltroni ha farfugliato qualcosa circa un patto con le imprese, ha criticato il taglio dell’Ici, sobillando i sindaci in piazza, ha chiesto al governo di abbassare le tasse e di spendere di più per la ripresa.

L’impressione nettissima era che quella piazza, quell’enorme sforzo organizzativo, i milioni di passi e di chilometri accumulati dai partecipanti, meritassero qualcosa di più. Meritassero almeno un Veltroni al suo meglio e non al suo peggio. Verrebbe da dire che il popolo del Circo Massimo è meglio dei leader che lo rappresentano.

Poi il discorso è finito, con poco altro da ricordare, la musica è partita, la folla ha cominciato a sciamare. Le ultime immagini mostravano Veltroni, Franceschini, Melandri, D’Alema, colti nel momento in cui le labiali pronunciavano all’unisono, sotto la musica di Fratelli d’Italia, “siam pronti alla morte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”. Erano compìti e imbarazzati. Nessuno gli chiede tanto, basterebbe che fossero solo pronti.

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