A un anno esatto dalle elezioni, il 59 per cento degli italiani pensa che il governo Prodi cadrà prima della fine della legislatura. Lo stesso sondaggio, condotto a maggio 2002 durante il governo Berlusconi, rivelava che solo il 17 per cento degli intervistati era convinto che il governo cadesse prima della fine della legislatura. Alla domanda: “Finora il governo Prodi ha mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale?”, il 62,7 per cento risponde di no, il 19,8 per cento sì. A settembre 2006 il no era al 55,3 per cento.
I consensi per il premier restano dunque in caduta libera, con un’opinione pubblica sempre più delusa da un esecutivo disastroso in tutto, dalle scelte fatte in politica estera alle decisioni sui provvedimenti economici, all’incapacità di varare qualsiasi riforma. Un uomo di sinistra come Luca Ricolfi non ha esitato a definire “tragico” il bilancio di questo primo anno di governo. La sinistra, dopo il “successo” (?) elettorale, proclamò subito la sua autosufficienza rinchiudendosi in un fortino e condannando se stessa e il Paese a una lunga agonia.
Prodi ha perso comunque una grande occasione: avrebbe potuto trasformare una vittoria risicata in un progetto di successo se avesse saputo stabilire un contatto diretto e forte con i cittadini, avvicinandosi in qualche modo alla strategia di Berlusconi e tentando un processo di conquista del consenso anche attraverso una migliore comunicazione.
Invece, dopo aver promesso una “politica del sorriso”, ha insistito sul fatto che le medicine sono amare ma bisogna prenderle per quelle che sono, insistendo sul catastrofismo che aveva caratterizzato l’opposizione di sinistra nella passata legislatura, e su queste false basi ha varato una Finanziaria da 40 miliardi di euro col solo intento di costruirsi un “tesoretto” per alimentare le proprie clientele.
Gli italiani lo hanno compreso perfettamente, ed è arrivato il crollo dei consensi. Nei cittadini ormai c’è un clima complessivo di sfiducia, e l’attuale maggioranza non ha né l’anima politica né i mezzi per invertire la situazione: è stato un cartello elettorale buono per prendere il potere, ma non per governare, e le 280 pagine del programma che contengono tutto e il contrario di tutto ne sono la dimostrazione plastica.
L’Unione era nata con l’obiettivo politico e contingente di sconfiggere Berlusconi, e per far questo ha imbarcato di tutto, producendo diverse visioni di politica economica e di politica estera fatalmente contraddittorie e opposte l’una all’altra, con il risultato dell’impossibilità di governare. Prodi per un tempo molto breve è riuscito ad essere il punto di equilibrio di questo accordo politico-elettorale molto inclinato sulle esigenze della sinistra radicale, ma la crisi sulla politica estera lo ha già notevolmente indebolito, tanto da farne un’anatra zoppa non più in grado di mediare, ma solo di subire i veti incrociati che portano quasi sempre alla paralisi.
Ora i nodi stanno arrivando al pettine: lo scalone della riforma previdenziale e l’ultimatum dell’Ue sulla Torino-Lione, che scadrà a settembre, sono due mine pericolose che Prodi ancora non sa come disinnescare. Così come l’Afghanistan resta una pistola politica puntata alla tempia del governo, e ogni giorno potrebbe sparare il colpo fatale.
Insomma, è bastato un anno – e anche meno – per scoprire il bluff di una maggioranza che ha prodotto disastri in politica estera, in tema di finanza pubblica, di mercato del lavoro, di infrastrutture. Sono state aumentate le tasse senza che ce ne fosse alcun bisogno, abbiamo assistito a una grande confusione su Autostrade, Telecom, Tav, sulla riforma delle pensioni e sulla legge Biagi.
Con Prodi che ha fatto l’asso pigliatutto in tema di sistema bancario e di alta finanza, anche a discapito dei suoi maggiori azionisti di maggioranza, Ds e Margherita. Si era presentato come il Robin Hood che doveva far piangere i ricchi per ridistribuire il reddito ai poveri, e agli occhi della gente ora appare invece come lo Sceriffo di Nottingham, che fa solo l’esattore per il tiranno, cioè per se stesso.