DI GIULIANO FERRARA
La classica manifestazione generale contro il governo serve a poco. Può anche rimbalzare come una palla su chi la organizza. Silvio Berlusconi si liberò di Romano Prodi quando aprì a Walter Veltroni. Ve lo ricordate? Disse che dovevano rifare insieme la Repubblica, incontrarsi e aprire una nuova fase. E la nuova fase si aprì. Con l’aiuto di una incursione molesta del solito magistrato d’assalto, Prodi cadde. Il grilletto fu premuto da un togato, ma il terreno era stato arato e seminato dall’iniziativa politica. Invece la manifestazione kolossal del dicembre successivo alla sconfitta elettorale servì più che altro a mettere in piazza le divisioni dell’opposizione di centrodestra. Sì, è confortante sentirsi in tanti e protestare uniti contro il governo: ma serve?
Ora ci prova Veltroni. Suo diritto, ovviamente. Ma un leader che aveva promesso innovazione, salto generazionale, bella politica e molte altre amabili cosucce dovrebbe chiedersi che senso abbia la sopravvivenza, in Italia e solo in Italia, di questo tipo di manifestazione ovvero la mobilitazione generale contro il governo, ma senza oggetto, senza ordine del giorno, senza contenuto, senza un’anima sociale e politica definibile. «Salva l’Italia» è una parola d’ordine di impressionante genericità, diciamo pure che è del tutto vuota di significato. E, d’altra parte, su quale mai drammatica svolta di regime dovrebbe incentrarsi la protesta?
Il governo Berlusconi ha ripulito un po’ Napoli, ha tassato i petrolieri, ha varato il federalismo fiscale d’intesa con i sindaci dell’opposizione, ha abrogato il foro boario della Finanziaria d’autunno, ha fatto cose strategiche o anche di solo buon senso nella scuola, nella pubblica amministrazione, nelle politiche ambientali. Il governo ha realizzato il decreto per la sicurezza dei cittadini che Veltroni aveva proposto invano a Prodi e cerca di attuare politiche di integrazione efficaci degli immigrati che sollevano scandalo solo tra i moralisti, gli ipocriti, i paternalisti.
Infine, di fronte alla crisi finanziaria mondiale, il governo ha organizzato la protezione dei risparmiatori e investitori che aveva promesso e cerca di fare fronte alla recessione con idee critiche verso l’autonomia dei mercati, puntando sull’interventismo statale. Ha ottenuto risultati, e i sondaggi lo premiano. Vi pare che contro queste robe qui, con la televisione pubblica che se ne sta lì bella intonsa a far chiacchiere «de sinistra» e quella privata che fa il suo mestiere pluralista tra Mediaset e Sky, si possa organizzare una mobilitazione convincente?
Non si può. Si potrà giocare con i numeri alla conta e gigioneggiare a colpi di milioni di partecipanti. Ma l’effetto politico sarà pressoché nullo. Il Partito democratico guidato da Veltroni, che prometteva un nuovo patto tra la politica e i cittadini, un nuovo linguaggio, una nuova organizzazione della politica, una nuova passione capace di motivare le tensioni spente dei vecchi partiti-apparato, potrebbe perfino confermare, con la manifestazione del Circo Massimo, la sua ormai troppo modesta ambizione, il suo essere risucchiato in una logica di correnti e di battaglie tra i capi tradizionale, molto tradizionale.
Il rischio dell’autolesionismo è dietro l’angolo, quando si comincia con le primarie, quando si bandisce il superamento delle ideologie del Novecento, e poi si torna in piazza a fare come sempre la solita ammuina contro il governo. Se era per costruire idee sapide, interessanti e magari inedite, questa è risaputa, sciapa e vecchia. Comunque auguri, perché le manifestazioni, anche quelle inutili, sono atti di legittimità democratica, e il governo dovrebbe rispettarle e starne fuori.