Ci vogliono 8 ore per attraversarla: è grande come l’Austria. E ogni giorno la popolazione aumenta di 1.370 persone. Rapporto da CHONGQING, la megalopoli che batte tutti i record. Anche quello dell’aria inquinata.
REPORTAGE DI JORG ROHLEDER
La nuova vita della coppia Lidacheng comincia prima dell’alba. Assonnati, i due scendono barcollanti la passerella diretta all’imbarcadero, senza voltarsi a guardare il colosso di legno dal quale sono appena scesi alle 4.50 di mattina, a 46 ore di viaggio dal loro villaggio. Lidacheng Jun, carico di borse di plastica, avanza per primo nell’oscurità.
Cerca con lo sguardo la moglie dopo aver sollevato le sue cose sull’ultimo gradino che porta al piazzale soprastante il porto. Quando anche Lidacheng Ying ha risalito le ripide scale, la coppia può finalmente sedersi sul bordo di cemento di una fioriera. Respirano guardandosi attorno: sono arrivati. Benvenuti nella più grande città del mondo, che tuttavia quasi nessuno conosce: Chongqing, metropoli creata in provetta tra i fiumi Jangtse e Jialing (2 ore e mezzo di volo a ovest di Shanghai) dove vivono 38 milioni di persone. Più che in Iraq, in Perù o in Malaysia. Più che a Città del Messico, a New Delhi, a New York.
Al mattino presto piazza Chaotianimin si riempie di persone come i Lidacheng: uomini in canottiera bianca e pantaloni di cotone grigio-azzurro e donne che indossano vecchie camicette. Sono 1.370 i nuovi arrivi che sbarcano da chiatte e traghetti ogni giorno, mezzo milione all’anno. In Cina lo sviluppo economico si concentra nelle città, mentre le condizioni in campagna migliorano solo lentamente. Questo ha spinto circa 150 milioni di cinesi ad abbandonare il proprio paese per cercare fortuna nei centri urbani. Entro il 2020 tale cifra supererà i 300 milioni: la più consistente deruralizzazione della storia.
Anche Lidacheng Jun ha lasciato casa e campi. «Così è la vita» commenta. Vuole cercare un lavoro appena il cugino sarà passato a prenderli. Dovranno costruirsi una nuova esistenza, ripartire nel Ventunesimo secolo: Jun, esile e ricurvo, ha 62 anni; la moglie 1 anno di meno.
Ore 5.30: l’esercito dei «bang-bang»
Du Meng si alza e attraversa il monolocale. Con la moglie Ping condivide il tetto di altre quattro coppie. Presto, si spera, avranno risparmiato denaro a sufficienza per potersi trasferire in un appartamento tutto loro. All’intelaiatura della porta è appoggiato l’attrezzo di lavoro: una canna di bambù con una fune fissata a ciascuna estremità. Du Meng è uno degli oltre 100 mila «bang-bang», quegli asini da soma umani che per soli 2 euro al giorno trasportano su e giù dalle ripide scale della città ogni tipo di merce. La nuova Cina non richiede solo petrolio, acciaio e calcestruzzo, ha bisogno anche della forza fisica.
Ore 7.15: municipio
La porta dell’ufficio del vicesindaco Huang è chiusa. Una segretaria spiega che oggi il capo non ci sarà, è in visita da un grande cantiere all’altro. Huang Qifan se ne intende di sviluppo: negli anni Novanta ha guidato il miracolo economico di Shanghai. Nel 2001 gli hanno affidato Chongqing. La quarta economia del mondo ha bisogno di nuovi centri urbani come questo: città fiorenti, megalopoli. E a Chongqing spetta il ruolo che ebbe Chicago quando i pionieri si misero in marcia verso l’ovest americano: quello della testa di ponte per l’avanzata nell’interno.
Nel ’97 Chongqing è stata elevata a città-provincia e ora dipende direttamente dal governo centrale di Pechino. La città è nata nella sua forma odierna 10 anni fa, quando nove province vennero unite in seguito a una riforma amministrativa.
Resta il dubbio che il risultato possa ancora essere definito città. La superficie dell’area corrisponde all’incirca all’Austria: per spostarsi in auto da un’estremità all’altra sono necessarie 8 ore di viaggio.
Ore 9: cantiere New North Side
I lavoratori immigrati che stanno gettando le fondamenta del teatro sono particolarmente orgogliosi di collaborare a progetti di simile portata. È qui che nasce la Cina del Ventunesimo secolo. I membri del politburo sperano che il Grand Theatre di Chongqing diventi il simbolo del nuovo centro commerciale sul lato nord del fiume. Intorno è prevista la costruzione di torri per uffici, complessi residenziali e gallerie commerciali. A tale scopo sono stati spianati 70 chilometri quadrati di città vecchia, con il conseguente trasferimento di 40 mila persone in enormi condomini in periferia.
Ore 11: città vecchia
Gli abitanti, qui a Xiahuishuigou, aspettano i mezzi di demolizione. E attendono di ricevere un’offerta vantaggiosa per le loro case. Il governo offre 700 euro al metro quadrato, ma i residenti pensano sia possibile ottenere di più. Vale la pena resistere nella sporcizia, restare seduti davanti a edifici senza finestre, giocandosi qualche spicciolo a carte per pagarsi un sorso di acquavite e un biglietto della lotteria dal bottegaio all’angolo. Il governo vuole liberarsene: non c’è più spazio per lustrascarpe, ciarlatani, indovini e guaritori, parrucchiere e locandieri. Il futuro si fa avanti distruggendo il passato. La città vecchia dovrà sparire. Agli urbanisti basta che un paio di vecchie case vengano restaurate per i turisti. Solo pochi passi ancora dividono la vecchia dalla nuova Cina. Che finirà per avere il sopravvento.
Ore 12: Jangtse
Il terzo fiume più lungo del mondo è secco. In primavera le precipitazioni sono state scarse e il fabbisogno idrico dell’industria è aumentato. Per 1,5 milioni di abitanti l’acqua verrà presto a mancare, come l’anno scorso, quando in alcune località di Chongqing è stato possibile coprire solo il 10 per cento del fabbisogno di acqua potabile. La città viene considerata sporca anche in Cina.
Sebbene tutti i taxi cittadini vadano a metano, la situazione non cambia. Nel 2006 la qualità dell’aria è stata così pessima da indurre le stesse autorità cinesi a classificarla come inaccettabile ogni 4 giorni.
Ore 13: Chongqing Country Club
Il cinquantacinquenne Han segue soddisfatto con lo sguardo la pallina bianca, poi si siede sul sedile posteriore di un golf kart e ordina all’autista di accelerare. «Vede, qui è come a Los Angeles» afferma Han, proprietario di una catena di supermercati. Le 27 buche del primo campo da golf di Chongqing sono situate fra una catena di alture e il Jialing, con green predisposti al meglio. La quota associativa del club è di 2.480 euro l’anno. Se solo si risolvesse il problema delle ville, ammette Han, «la vita sarebbe perfetta». Han sta pensando di pagare 1,2 milioni di euro per trasferirsi in una delle 168 ville Fortune Golf in costruzione ai margini del green.
Ore 15.15: la limousine nera
Il membro del partito cui l’auto appartiene non intende rivelare il nome. Ma è troppo orgoglioso per tacere: vuole mostrare la sua Chongqing. «La crescita economica è del 12,6 per cento annuo» spiega «più della media nazionale». Poi indica ogni parco, ogni albero, ogni prato che scorre fuori dal finestrino. «Chongqing non è ancora verde come l’Europa, ma non è più così grigia come 5 anni fa».
I giapponesi, durante la Seconda guerra mondiale, l’avevano ridotta in cenere. A quel tempo la metropoli si chiamava Chingking: il leader nazionalista Chiang Kai-shek ne aveva fatto la sua capitale e prima dell’arrivo di Mao Zedong era assurta al ruolo di fabbrica di armi per l’esercito. Nel periodo postbellico la città fu tenuta in vita dall’industria delle armi: ancora oggi, presso l’istituto d’arte, vengono fabbricati i kalashnikov. Poi, spiega l’uomo della limousine, accanto ai carri armati sorsero le industrie automobilistiche, chimiche e farmaceutiche, avvantaggiate dalla presenza dei due fiumi. Suzuki, Siemens, ThyssenKrupp e Coca-Cola vi gestiscono già delle filiali. La Ford costruisce la Fiesta e la Bp miscela prodotti chimici industriali.
Ore 15.30: la fabbrica di motociclette
Alla Jialing lavorano 10 mila operai. Nei capannoni si fabbricano 2 milioni di moto all’anno e, rispetto alle fabbriche europee, nell’impianto sorvegliato dall’esercito si lavora ancora manualmente alla catena di montaggio. Gli operai con le tute protettive bianche hanno bisogno di 12 minuti per montare uno scooter. La 600, orgoglio della Jialing, verrà prossimamente offerta anche in Europa. Qui nessuno vuole parlare di quello che viene prodotto nel retro della fabbrica, dove gli operai indossano uniformi militari sotto la divisa bianca.
Ore 19: lungofiume Nanbin
Jie Qian si sente bene solo 2 ore al giorno: dalle 19 alle 21, quando balla con 300 casalinghe come lei. Qian non conosce le altre donne. L’unica cosa importante è trovarsi tutte qui, nel piazzale sul lungofiume, e sentirsi una comunità. Come in passato, quando il gruppo contava ancora qualcosa. Allora Jie Qian viveva in campagna con i genitori, le zie, le sorelle e un nugolo di bambini. Poi il suo paese è stato inondato, sacrificato per la diga delle Tre gole. Oggi gli Jie vivono nei casermoni senza visuale di Chongqing. Sradicati. Costretti a curare la solitudine urbana con i farmaci. Non esistono statistiche sui danni psicologici dell’inurbamento in Cina. Ma un indizio è dato dai volantini affissi nelle università: servono ad aiutare gli studenti a riconoscere l’insorgere di pensieri suicidi nel prossimo.
Ore 22: Club Falling
Chen Jian vuole decollare. È un pilota. Ma oggi non lavora, quindi ordina un altro giro: 12 birre per 25 euro, una bottiglia di Chivas Regal per 48. Chen e i suoi amici indossano l’uniforme di libera uscita di Chongqing: camicia bianca sbottonata e occhiali Ray-Ban. L’eldorado dei nuovi ricchi non ha bisogno di buttafuori: l’accesso è regolato dal conto. Prenotare un separé costa 130 euro. Le ragazze non servono solo bevande: non è un segreto. In strada l’amore è più economico: due ragazze, spiega Chen, costano 20 euro. Per 25 se ne porta in albergo tre.
Ore 4.50: piazza Chaotianmin
Lo sguardo di Lidacheng Jun non è avvilito come ieri, quando è arrivato al porto con la moglie. Ha trovato un lavoro. Ora è un bang-bang. Jun si carica sulle spalle tè verde con ginseng e miele. Il sole sorge sui grattacieli a est. In piazza Chaotianimin sono in arrivo altri 1.370 nuovi migranti. Lidacheng Jun è già qualcosa di più: è un cittadino della più grande città del mondo. E ne è orgoglioso.