La situazione delle nostre università è paradossale: studenti e professori infatti contestano contro una riforma che ancora non esiste. Esistono, è vero, i tagli, ma non sono drammatici: in media il 3% l’anno (1,4 miliardi in cinque anni su una spesa complessiva di circa 10 miliardi l’anno). Si parte da tagli quasi nulli nel 2009, mentre poi le riduzioni diverranno via via crescenti per raggiungere la media del 3% nell’arco di un quinquennio. Un taglio non certo terribile, dunque, visto che la stessa Conferenza dei rettori ha riconosciuto che in Italia la spesa per studente è più alta che in Francia e in Gran Bretagna.
Ma i baroni universitari cavalcano la protesta per mantenere intatto il loro potere. Un esempio? Nei prossimi mesi si svolgeranno nuovi concorsi per settemila posti in più fra ricercatori e professori (ordinari e associati). I 4 mila posti di professore saranno semplicemente promozioni automatiche di persone che sono già da anni dentro le università, e i concorsi saranno rigorosamente finti, con buona pace di qualsiasi giovane ricercatore che voglia far valere le proprie qualità.
Ebbene: se questi concorsi andranno in porto, si potrà smettere di parlare della riforma dell’università, perché per dieci anni non ci sarà più posto per nessuno e ai nostri studenti migliori non rimarrà che andare all’estero. Lo stesso Umberto Eco, invitato all’università di Siena, ha bacchettato gli studenti contestatori dicendo: “I tagli danneggiano più i professori che voi, è molto curioso che facciate una battaglia del genere per i baroni”.
La politica finora non ha mai affrontato il problema dei concorsi universitari e del sistema moltiplicatore di cattedre e degli insegnamenti, nonostante gli allarmi lanciati di tanto in tanto dall'interno degli atenei. Qualche anno fa fu Gino Giugni, padre dello Statuto dei lavoratori, a sollevare il problema con un articolo sul Corriere della Sera. Giugni, riferendosi a quella parte di mondo accademico - i giuslavoristi - che conosceva di più, rivelava: "C’è una gestione combinata nella selezione dei giovani studiosi". Ma a mettere il dito sulla piaga fu Pietro Ichino, oggi deputato del Pd e professore all'università statale di Milano: "Una cupola regola i concorsi universitari per le cattedre di diritto del lavoro. Solo chi si sottomette alle regole della cooptazione può vincere".
Le denunce di Giugni ed Ichino hanno prodotto un dossier raccolto dalla Guardia di Finanza che contiene decine di dichiarazioni a verbale di professori universitari stanchi di dover fare i conti con un vero e proprio trust di cattedre e concorsi. Achille Serra, ex commissario anticorruzione e ora deputato del Pd, confermò l'anno scorso che la situazione di "parentopoli" nelle università italiane è gravissima. Nei fascicoli inviati dal commissario anticorruzione alla procura di Roma si traccia l'organizzazione di una vera "cupola" formata da "baroni" che regolerebbe cattedre e concorsi nelle università italiane, attraverso, soprattutto, le commissioni di esami, che vengono costituite in modo tale che "a vincere sia sempre il candidato della facoltà universitaria che ha bandito il concorso e che è sostenuto dal professore della cattedra, componente la commissione".
La Guardia di Finanza, da parte sua, ha preso in esame una cinquantina di bandi appurando che l’80 per cento di quanti avevano fatto domanda ai concorsi si erano ritirati prima degli esami e quasi tutti quelli che li avevano superati avevano svolto attività nella stessa università che aveva bandito il concorso. Una vera e propria cooptazione, dunque, in cui non c’è spazio per la meritocrazia. E poi sarebbe il governo a far fuggire i nostri giovani ricercatori all’estero…!!!