di Maria Giovanna Maglie
La governante francese de Il Gattopardo è una figura ridicola ma anche patetica, passa il suo tempo a immaginare la felicità degli altri, segnatamente quella di Tancredi e Angelica in amore, perché lei, poverina, zitella, di felicità sua propria non ne conosce. Dalla notte tra il 4 e il 5 novembre, da quando Barack Obama è stato eletto presidente degli Stati Uniti, il sentimento della governante francese mi accompagna, mentre osservo le manifestazioni scomposte di giubilo inscenate dagli esponenti della sinistra italiana e dai loro giornali.
Walter Veltroni, tra loro, è il vero «monstrum», perché è il segretario del Partito democratico italiano, e un po' di contegno dovrebbe mantenerlo, e perché nessuno ha avuto, ah i consiglieri compiacenti, il coraggio di dirgli che non è Barack Obama, non si insedierà il 20 gennaio alla Casa Bianca, non è nemmeno americano, in Italia ha stravinto Silvio Berlusconi, lui è non solo all'opposizione, che è ruolo degnissimo, ma costretto dalla crisi della sua compagine a farsi rappresentare dalla piazza fino a ieri, oggi dall'american dream. A volte la verità, anche se brutale, serve ad aprire gli occhi, e di buon grado mi assumo lo scomodo ruolo.
Barack Obama può essere o no una buona scelta, a me continua a non sembrare un granché e resisto all'ansia di consenso, ma è stato eletto nella stessa forma con la quale era stato eletto per due volte George W. Bush. Sono portatori della stessa legittimità sovrana, l'uno non avrebbe mai preso in considerazione l'idea folle di costruirsi in proprio la strage delle Twin Towers, l'altro non penserebbe mai di far contenti i terroristi di Al Qaida, al contrario nel suo programma c'è scritto che è pronto a inseguire quelli che attaccano l'Afghanistan anche oltre i confini, uno di quei gesti imperialisti che di solito fanno strillare di sdegno Veltroni.
Barack Obama ha studiato in due università prestigiose, Columbia e Harvard, preparandosi in questo modo rigoroso alla carriera professionale e poi alla rapida fortuna politica. Fortunato sì, ma con giudizio. Dietro alla sua candidatura ci sono imprenditori miliardari, potenti lobbisti e una rete di club e associazioni che sostengono e alimentano l'alta borghesia afroamericana. Sarebbe difficile spiegare a Obama che Veltroni si è diplomato all'istituto di Cinematografia della Vasca navale di Roma, ha fatto il funzionario di partito col pugno chiuso fin dall'adolescenza, insomma, non ha mai lavorato sul serio, e ha frequentato sempre lo stesso giro delle terrazze romane «de sinistra».
Barack Obama ha sostenuto una campagna elettorale di ventuno mesi, andando in giro come una trottola fra elettori e cittadini preparati e cattivissimi, contro una avversaria straordinaria che si chiama Hillary Clinton. Forse alla convention da coronando c'è arrivato soprattutto per fortuna, ma se l'è sudata. Se la memoria non mi inganna, alle cosiddette primarie del Partito democratico italiano Veltroni è arrivato da casa sua, unico candidato per scelta di vertice.
Barack Obama ha in supremo sprezzo l'organizzazione delle Nazioni Unite, e intende far valere più dei suoi predecessori il diritto di veto che spetta agli Stati Uniti. Sostiene la pena di morte, naturalmente. L'Europa per lui è un alleato marginale, è andato a Berlino ad evocare Kennedy perché lo vedessero gli americani. Faccio fatica a immaginare che trovi il tempo nei suoi primi cento giorni da presidente per incontrare il segretario di un partito europeo non al governo, il quale gli parlerebbe della moratoria contro la pena di morte ottenuta proprio nella sede delle Nazioni Unite, e del ruolo fondamentale di studenti e insegnanti che scendono in piazza assieme ai sindacati.