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 CONCLUSA A BITONTO LA MOSTRA "CROCEVIA" Data: 15/04/2007
Appertiene alla sezione: [ Cultura ]
Si conclude a Bitonto la mostra "CROCEVIA. Passo a passo al cuore della passione contemporanea", curata da Francesco Paolo Del Re e patrocinata dal Comune di Bitonto. Otto artisti provenienti da tutta Italia si sono ispirati alla Via Crucis per tracciare un profilo delle passioni e dell'umanità contemporanea, suscitando grande attenzione presso il pubblico.
A coronamento della manifestazione, l'artista Cosimo Terlizzi propone una performance urbana dal titolo "DIECI MODI D'ARRENDERSI. Una performance sulla necessità della resa", ultima tappa del progetto CROCEVIA.
Dieci performer prendono parte all'evento, "prestando" i loro corpi.
L'appuntamento è per domenica 15 aprile a Bitonto, su Corso Vittorio Emanuele a Bitonto, alle ore 11.30.
L'arte rompe i muri e scaturisce fuori dagli spazi espositivi, riversandosi per le strade, tra i passanti. DIECI MODI D'ARRENDERSI è un lavoro su corpi e spazi e riflette sul tema della resa, elaborando figure e posture dell'iconografia cristiana e musulmana del martirio e della passione e della cronaca nera.
L'artista ha individuato e propone al pubblico dieci gesti, dieci segni del darsi o del chiedere perdono, del chiedere scusa, atti semplici e liberatori. L'obiettivo è stimolare una riflessione sulle reazioni che noi tutti abbiamo di fronte alla nudità dell'arrendersi dell'altro.
Un'estetica del patetico, della pietas, è la dimensione umana che l'artista è interessato a portare all'attenzione del pubblico

LA CONQUISTA DELLA RESA
Nota sui DIECI MODI D’ARRENDERSI di Cosimo Terlizzi

TESTO CRITICO DI FRANCESCO PAOLO DEL RE

La dimensione estetica di una patetica umanità appartiene tanto all’antico quanto ai paesaggi mediali del contemporaneo. In “Dieci modi d’arrendersi” Cosimo Terlizzi, con una modalità di lavoro site specific che ha un precedente nella performance bolognese “De Caritate” del 2005, mette in scena per le strade di Torino un’antologia dell’arrendersi, un accurato studio iconografico sulla resa.
L’intervento di dieci performer cristallizza, all’interno del flusso metropolitano, la prossemica di una resa incondizionata e dell’offerta arrendevole del corpo agli occhi avari dei passanti. L’obiettivo è quello di promuovere una riflessione di natura etica oltre che estetica: quali reazioni proviamo, nel quotidiano del nostro scenario urbano, di fronte all’evidenza e alla nudità dell’arrendersi dell’altro, a cui non siamo abituati?
Gli spunti cui Terlizzi attinge per la sua catalogazione sono molteplici. Si guarda alla storia dell’arte, in particolare all’iconografia cattolica con le sue pose di Santi, che hanno codificato il linguaggio di mani che fanno segno di accogliere una presenza, con la gestualità del Cristo e l’abnegazione delle Madonne. Dalla cultura mussulmana e dalle sue scritture si apprende la saggezza dell’inginocchiarsi davanti a un grande mistero, il mostrare il collo che si fa significante nell’esporsi allo sguardo. Suggestivo è anche il repertorio delle vicende della cronaca nera, sul prelievo del quale sembrano aleggiare echi dell’ultima riflessione di Susan Sontag: dalle immagini dei martiri delle guerre fino al segno di resa delle mani in alto o unite davanti al corpo come per l’ammanettamento.
La resa, in una temperie storica e culturale che preferisce la prevaricazione alle ragioni del dialogo, è uno zampillo di sublimazione che vince la paura e scioglie la violenza del conflitto. Arrendersi, chiedere perdono, chiedere scusa sono atti meravigliosamente inutili, atemporali, di offerta e spreco di sé, di puro darsi; trasformano, nella più autentica suggestione della dépense di Bataille, quel principio della perdita incondizionata in un moto di resa incondizionata.
“Dieci modi d’arrendersi” sembra voler mostrare la dolcezza dell’andare incontro a quello che sembra inaccessibile, pericoloso, cattivo, il conforto nella resa come remissione di sé nell’altro.
La performance si colloca in questo modo in momento di riflessione successivo a quello del chiedere dei questuanti di “De Caritate”, assurgendo a operazione di riflessione metalinguistica sugli stessi meccanismi del fare artistico: di un’arte che oggi più che domandare ha il vezzo di dare, di darsi, con vuoto a perdere, vertigine di arrendevole utopia.

Francesco Paolo Del Re

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