Baby pensioni nelle Forze armate, Inchiesta sullo scandalo dei certificati
Centinaia di casi. Il pm militare di Padova: malati, facevano altri lavori
Il Corriere della Sera di oggi pubblica un articolo di Gian Antonio Stella sullo scandalo delle baby pensioni ancor oggi vigenti nelle Forze Armate e su certi comportamenti a dir pocco allucinanti della giustizia militare. Vi consigliamo di leggerlo e anche voi cocorderete con le conlcusioni cuk giunge l'autore dell'articolo.
I fannulloni prendano nota: spacciare droga non è incompatibile con l’assenza dal lavoro per malattia. Lo dice una sentenza d’assoluzione (assoluzione!) di un maresciallo dell’esercito che, mentre figurava agonizzante nel suo letto di dolore, vendeva eroina ai tossici a 1.476 chilometri dal suo luogo di lavoro. Il generosissimo verdetto, emesso dal tribunale militare di Padova, è in realtà soltanto l’esempio più clamoroso di una realtà stupefacente. Quella del «fannullonismo» nel mondo in divisa. Dove una vecchia leggina del 1954 non ancora cambiata né dai governi di destra né da quelli di sinistra consente ancora oggi a marescialli e brigadieri e tenenti professionisti che vengano «riformati», di andare in pensione con 15 (quindici!) anni di servizio.
Risultato: al tredicesimo anno centinaia di graduati cominciano ad avvertire devastanti emicranie, spaventosi strazi all’alluce valgo, lancinanti vertiginiti e insomma un tale mucchio di malattie che metterebbero a dura prova le madonnine di Fatima, Lourdes e Medjugorie e si concludono con qualche condanna per truffa o, più spesso, con la collocazione a riposo. A 35 anni, talvolta. E con l’assegno vitalizio destinato a premiare le furbizie per decenni.
Meno male che il sostituto procuratore militare Sergio Dini e certi suoi colleghi che tentano da anni di arginare il fenomeno sono fatti di una pasta diversa. Sennò avrebbero loro sì il diritto di mettersi in malattia per depressione acuta: a che serve incastrare i lavativi, rinviarli a giudizio per simulazione di infermità, diserzione aggravata (un’accusa che un tempo ti spediva alla corte marziale) e truffa militare pluriaggravata, se poi va a finire spesso in sentenze assolutorie così esageratamente cavillose da esporre la nostra giustizia al ridicolo?
Hanno scoperto di tutto, negli ultimi anni. Un caporalmaggiore che dalla Puglia natia mandava alternativamente ora un certificato di «lombosciatalgia » e ora di «sindrome ansioso- depressiva», finché saltò fuori che era stato regolarmente assunto (assunto!) come guardia giurata da una compagnia telefonica. Un altro che marcando visita per due anni al Reggimento Lagunari Serenissima per «lombosciatalgia » e «postumi di una frattura mandibolare », faceva in malattia lo scaricatore di sacchi di cemento la mattina e l’impiegato di una termosanitaria al pomeriggio. Un sergente maggiore al quale un’angosciante «sindrome depressiva » (due anni di malattia) non impediva di dirigere un’avviata boutique e fare body building. E via così. A centinaia. «Dottori» compresi.
Ed ecco un ufficiale medico casertano che, di certificato di malattia in certificato di malattia, è rimasto assente (continuando a ricevere lo stipendio, si capisce) per due anni filati, trascorsi a Napoli per fare la specializzazione in pediatria. Un altro che, nei lunghissimi periodi in cui risultava pressoché in comaper malesseri vari, faceva contemporaneamente il medico di base, il consulente del tribunale di Verona e il perito di una compagnia di assicurazioni. Per non dire della fatica a convocare in tribunale quanti hanno firmato talora per lo stesso assistito decine di certificati in fotocopia. Faringiti, sciatiche, vertiginiti, piaghe, pustole... Non c’è medico (o quasi) che se viene chiamato dai giudici militari a testimoniare sulla sua collaborazione coi finti malati, non marchi visita presentando a sua volta un certificato medico.
Sono così rari, quelli che si presentano, che i magistrati li guardano con la curiosità che accolse l’india Matoaka, meglio nota come Pocahontas, nella Londra di Giacomo I. C’è gente che si nega due, tre, quattro volte. Finché i giudici sono costretti a emettere la convocazione coattiva. Un panorama sconfortante. Nel quale spiccano, su tutte, le sentenze a chiusura di tre processi per simulazione di infermità, diserzione aggravata e truffa militare pluri-aggravata. La prima ha graziato il maresciallo dell’esercito Stefano Della Pietra che, affetto in base ai certificati da «sindromi ansiose depressive», ha marcato visita per mesi e nel frattempo faceva il presidente di un consiglio circoscrizionale e dirigeva un bar e due panifici dei quali era proprietario con la madre: assolto e pensionato. La seconda ha premiato il signor Valerano Conte che, reagendo eroico agli implacabili dolori («lombosciatalgia bilaterale» e «disturbi ansioso- depressivi») che gli impedivano di fare il maresciallo a Padova, faceva in quei lunghi mesi di assenza il rappresentante, piazzava prodotti, visitava clienti, emetteva fatture per conto di una ditta, la «Beauty Company», alla quale era legato da un regolare contratto, al punto di compilare lui stesso un curriculum vitae, ammette il magistrato nel dispositivo, in cui lui stesso «dichiarava di aver svolto attività di agente di commercio» anche nei periodi in cui figurava malato: assolto e pensionato.
La più spettacolare però è la terza sentenza, firmata dal gip Andrea Cruciani. Il quale, chiamato a giudicare le assenze per circa un anno e mezzo del caporalmaggiore Antonino Cannistraro, in forza (si fa per dire) all’11˚Reggimento Bersaglieri di Orcenico Superiore, Pordenone, scrive che, tra tanti documenti medici, «potrebbe far sorgere qualche dubbio» solo un certificato di malattia dal 18 al 22 marzo 2004. E perché? Perché la sera del 20 marzo il giovanotto fu arrestato con il fratello a Licata (a 1.476 chilometri dal luogo in cui avrebbe teoricamente dovuto stare a letto per una «faringite febbrile») nella operazione «Cane di Paglia» contro il traffico di cocaina e di eroina. C’erano intercettazioni, indizi, prove. Tanto da convincere il malatino a patteggiare una condanna a due anni di carcere. Condanna sulla quale, per carità, il giudice militare non eccepisce: spacciare è un reato.
Spiega però che, come assenteista, va assolto. Infatti la faringite febbrile «non può ritenersi di per sé sola incompatibile con la presenza dello stesso Cannistraro in Licata nel luogo in cui veniva perquisito dai militari ». La malattia, «pur necessitando di riposo e comportando l’impossibilità di svolgere attività continuativa nel reparto militare di appartenenza, non necessariamente impediva allo stesso di uscire...». Insomma, scrive più avanti il giudice, «non è stato accertato che lo stesso abbia svolto attività lavorative o sociali incompatibili» con la patologia. Domanda: è strampalata la legge o è strampalata la sentenza? Delle due l’una. Ma per favore: basta. Gian Antonio Stella, Corriere della Sera del 15 aprile 2007.