L’Italia cambia in fretta. Un anno fa, in questi giorni, Silvio Berlusconi era alle corde. I suoi alleati principali, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, non gli avevano perdonato l’approvazione della Legge finanziaria del governo Prodi. Il Cavaliere aveva assicurato che Lamberto Dini e altri avrebbero fatto cadere il governo. Così non fu e Berlusconi si trovò delegittimato e isolato nel suo stesso campo. Poi, domenica 18 novembre, salì sul predellino di una Mercedes a piazza San Babila a Milano, annunciò la nascita di un Partito delle libertà e successe quel che sappiamo.
Negli stessi giorni Beppe Grillo sembrava il vero leader del Paese. Dall’inizio della stagione autunnale le sue manifestazioni radunavano decine di migliaia di persone all’insegna dell’antipolitica. I suoi comizi volgari, in cui vaffanculo era l’insulto più sfumato, avevano gasato una fetta importante di opinione pubblica. Il suo blog era tra i più visitati di internet, il suo consenso sembrava inarrestabile e la domanda che circolava nel Palazzo era questa: si presenterà in politica con la sua faccia o per interposta persona?
Poiché tuttavia il diavolo, fatte le pentole, talvolta dimentica i coperchi, la storia prese una piega imprevedibile. La maggioranza silenziosa degli italiani, quella che non partecipa ai raduni di Grillo, ma ne ha le tasche piene di Caste che a forza di protezioni reciproche hanno paralizzato il Paese, ha portato in trionfo proprio il nemico numero uno di Grillo: quel Silvio Berlusconi dipinto nelle piazze grilline come la fucina di tutti i mali.
Il comico genovese non ha certo disarmato, ma da allora non gliene è andata bene una. La pubblicazione delle denunce dei redditi ha rivelato all’attonito popolo dei blog che per Beppe Grillo la protesta è un business colossale: a ogni strillo corrisponde un bel paccone di euro. È come se Girolamo Savonarola, dopo aver bruciato i simboli della vanità nelle piazze di Firenze, se ne fosse tornato al suo convento di San Marco su una carrozza d’oro, atteso da cortigiane premurose.
Grillo non è stato fortunato nemmeno in politica. Le liste civiche dei grillini non hanno sfondato da nessuna parte: dinanzi alla scheda gli elettori sono molto più avveduti di quanto non pensasse il comico. Ancora: quando nelle settimane scorse ha tentato di cavalcare la protesta degli studenti, Grillo è stato bruscamente invitato ad allontanarsi. Ma lo smacco più grosso l’ha subito martedì 11 novembre, quando l’ufficio per i referendum della Corte di cassazione ha dichiarato insufficienti le firme raccolte da Grillo a sostegno dei suoi tre quesiti: abolizione dell’Ordine dei giornalisti, dei contributi statali all’editoria e soprattutto della odiatissima legge Gasparri sulla riforma del sistema radiotelevisivo. Il 25 novembre il comico andrà a spiegare in Cassazione le sue ragioni. Vedremo se riuscirà a recuperare qualcosa, ma intanto il popolo dei blog è furibondo perché era stato rassicurato sulla enorme quantità di firme raccolte.
Comunque vada a finire, la stagione del grillismo sembra avviata al tramonto. La gente ha capito che protestare non basta. Occorre decidere con rapidità, fermezza, ma molto buon senso. L’unica cosa che Grillo non può comprare con i milioni di euro che gli fruttano le sue grida.