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 COMMISSIONE VIGILANZA RAI: UNA LEZIONE DI DEMOCRAZIA Data: 15/11/2008
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
di Vittorio Sgarbi

Tra le cose più curiose - e più sfiziose - di questi giorni (appesantiti dall’assassinio di Stato di Eluana Englaro, dopo un regolare processo concluso con la condanna alla pena di morte in un Paese che la esclude) c’è l’elezione di Riccardo Villari, dopo un’attesa più estenuante dell’uscita del 6 al Superenalotto, alla presidenza della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai. Si penserebbe: finalmente. È un parlamentare dell’opposizione, è apprezzato, ha ottenuto, con meditata convinzione, i voti della maggioranza, è un uomo super partes che non ha mai amato Berlusconi e che ha una grandissima esperienza parlamentare come Ciriaco De Mita, che ne dice: «Ha tutti i pregi dei napoletani, moderazione, garbo, accortezza». Tutto ciò che conviene a un buon presidente. E ancora, mentre da ogni parte della sinistra se ne invocano le dimissioni: «Secondo me non deve dimettersi. Io lo apprezzo molto, anche perché, a differenza di altri, ha mantenuto con me un rapporto affettuoso anche dopo la mia cacciata dal Pd. Dovrebbe restare alla guida della Vigilanza, in attesa che si mettano d’accordo».
Guardiamo allora la situazione, con il solito Di Pietro che attribuisce il risultato dell’elezione, comunque di un esponente dell’opposizione, a Berlusconi e, con la consueta misura (il candidato sconfitto, nei fatti, era stato proposto da lui), lo apostrofa con un «caro presidente del Consiglio Videla», attribuendogli «un atteggiamento tipico di una dittatura argentina». Berlusconi cade dalle nuvole, attribuisce la scelta ai gruppi parlamentari; e, timidamente, i deputati difendono il loro voto secondo il principio che in democrazia prevale chi ha la maggioranza. Certo: c’è soddisfazione e divertimento per l’esito imprevisto, che ha il carattere di un blitz, pur essendo molto lentamente maturato. Intanto, almeno due esponenti dell’opposizione hanno votato Villari: e poi la sua candidatura, come la sua elezione, deve essere stata espressa da un qualche embrione di democrazia ritrovata e di riabilitazione del Parlamento quotidianamente mortificato attraverso la meccanica votazione di ordini calati dall’alto che tolgono al parlamentare ogni autonomia e ogni libertà. L’insistente richiesta dell’opposizione delle dimissioni di Villari (la solita Bindi: «Immediatamente»; Rutelli: «Dimissioni a razzo» e, anche, con un’ipocrisia smascherata da Sabina Guzzanti, D’Alema: «Una prepotenza quel che è accaduto») scopre tutta la sorpresa per la beffa, e la delusione per non avere potuto far prevalere l’ostinazione della minoranza sulle regole democratiche. Dal momento che i parlamentari non decidono niente e non possono mai scegliere (ricordo quante frustrazioni, anche ai tempi miei, nel non poter mai discutere e decidere nulla) si insinua il veleno che ciò che non è concordato dalle segreterie dei partiti, non è democratico. Si confonde cioè la democrazia con la diplomazia e si mortifica la libertà di voto (la Costituzione dice: «Senza vincolo di mandato») con il bon ton. L’elezione di Villari appare a me, e credo ad altri, una liberazione. Ristabilisce principi aritmetici a fronte della convenzione, non scritta, che alcune commissioni debbano esser presiedute dall’opposizione. Commissioni di garanzia, dunque. E infatti Villari è un esponente dell’opposizione. Ma è stato votato e scelto dalla maggioranza, strilla la nomenklatura dell’opposizione. Salvo due peones, penso io come molti.
Una lezione di democrazia
di Vittorio Sgarbi
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Tra le cose più curiose - e più sfiziose - di questi giorni (appesantiti dall’assassinio di Stato di Eluana Englaro, dopo un regolare processo concluso con la condanna alla pena di morte in un Paese che la esclude) c’è l’elezione di Riccardo Villari, dopo un’attesa più estenuante dell’uscita del 6 al Superenalotto, alla presidenza della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai. Si penserebbe: finalmente. È un parlamentare dell’opposizione, è apprezzato, ha ottenuto, con meditata convinzione, i voti della maggioranza, è un uomo super partes che non ha mai amato Berlusconi e che ha una grandissima esperienza parlamentare come Ciriaco De Mita, che ne dice: «Ha tutti i pregi dei napoletani, moderazione, garbo, accortezza». Tutto ciò che conviene a un buon presidente. E ancora, mentre da ogni parte della sinistra se ne invocano le dimissioni: «Secondo me non deve dimettersi. Io lo apprezzo molto, anche perché, a differenza di altri, ha mantenuto con me un rapporto affettuoso anche dopo la mia cacciata dal Pd. Dovrebbe restare alla guida della Vigilanza, in attesa che si mettano d’accordo».
Guardiamo allora la situazione, con il solito Di Pietro che attribuisce il risultato dell’elezione, comunque di un esponente dell’opposizione, a Berlusconi e, con la consueta misura (il candidato sconfitto, nei fatti, era stato proposto da lui), lo apostrofa con un «caro presidente del Consiglio Videla», attribuendogli «un atteggiamento tipico di una dittatura argentina». Berlusconi cade dalle nuvole, attribuisce la scelta ai gruppi parlamentari; e, timidamente, i deputati difendono il loro voto secondo il principio che in democrazia prevale chi ha la maggioranza. Certo: c’è soddisfazione e divertimento per l’esito imprevisto, che ha il carattere di un blitz, pur essendo molto lentamente maturato. Intanto, almeno due esponenti dell’opposizione hanno votato Villari: e poi la sua candidatura, come la sua elezione, deve essere stata espressa da un qualche embrione di democrazia ritrovata e di riabilitazione del Parlamento quotidianamente mortificato attraverso la meccanica votazione di ordini calati dall’alto che tolgono al parlamentare ogni autonomia e ogni libertà. L’insistente richiesta dell’opposizione delle dimissioni di Villari (la solita Bindi: «Immediatamente»; Rutelli: «Dimissioni a razzo» e, anche, con un’ipocrisia smascherata da Sabina Guzzanti, D’Alema: «Una prepotenza quel che è accaduto») scopre tutta la sorpresa per la beffa, e la delusione per non avere potuto far prevalere l’ostinazione della minoranza sulle regole democratiche. Dal momento che i parlamentari non decidono niente e non possono mai scegliere (ricordo quante frustrazioni, anche ai tempi miei, nel non poter mai discutere e decidere nulla) si insinua il veleno che ciò che non è concordato dalle segreterie dei partiti, non è democratico. Si confonde cioè la democrazia con la diplomazia e si mortifica la libertà di voto (la Costituzione dice: «Senza vincolo di mandato») con il bon ton. L’elezione di Villari appare a me, e credo ad altri, una liberazione. Ristabilisce principi aritmetici a fronte della convenzione, non scritta, che alcune commissioni debbano esser presiedute dall’opposizione. Commissioni di garanzia, dunque. E infatti Villari è un esponente dell’opposizione. Ma è stato votato e scelto dalla maggioranza, strilla la nomenklatura dell’opposizione. Salvo due peones, penso io come molti.
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Guardiamo allora la situazione, con il solito Di Pietro che attribuisce il risultato dell’elezione, comunque di un esponente dell’opposizione, a Berlusconi e, con la consueta misura (il candidato sconfitto, nei fatti, era stato proposto da lui), lo apostrofa con un «caro presidente del Consiglio Videla», attribuendogli «un atteggiamento tipico di una dittatura argentina». Berlusconi cade dalle nuvole, attribuisce la scelta ai gruppi parlamentari; e, timidamente, i deputati difendono il loro voto secondo il principio che in democrazia prevale chi ha la maggioranza. Certo: c’è soddisfazione e divertimento per l’esito imprevisto, che ha il carattere di un blitz, pur essendo molto lentamente maturato. Intanto, almeno due esponenti dell’opposizione hanno votato Villari: e poi la sua candidatura, come la sua elezione, deve essere stata espressa da un qualche embrione di democrazia ritrovata e di riabilitazione del Parlamento quotidianamente mortificato attraverso la meccanica votazione di ordini calati dall’alto che tolgono al parlamentare ogni autonomia e ogni libertà. L’insistente richiesta dell’opposizione delle dimissioni di Villari (la solita Bindi: «Immediatamente»; Rutelli: «Dimissioni a razzo» e, anche, con un’ipocrisia smascherata da Sabina Guzzanti, D’Alema: «Una prepotenza quel che è accaduto») scopre tutta la sorpresa per la beffa, e la delusione per non avere potuto far prevalere l’ostinazione della minoranza sulle regole democratiche. Dal momento che i parlamentari non decidono niente e non possono mai scegliere (ricordo quante frustrazioni, anche ai tempi miei, nel non poter mai discutere e decidere nulla) si insinua il veleno che ciò che non è concordato dalle segreterie dei partiti, non è democratico. Si confonde cioè la democrazia con la diplomazia e si mortifica la libertà di voto (la Costituzione dice: «Senza vincolo di mandato») con il bon ton. L’elezione di Villari appare a me, e credo ad altri, una liberazione. Ristabilisce principi aritmetici a fronte della convenzione, non scritta, che alcune commissioni debbano esser presiedute dall’opposizione. Commissioni di garanzia, dunque. E infatti Villari è un esponente dell’opposizione. Ma è stato votato e scelto dalla maggioranza, strilla la nomenklatura dell’opposizione. Salvo due peones, penso io come molti.
Così la maggioranza li fa tornare liberi, dà un segnale che, evidentemente, qualcuno ha raccolto. La maggioranza aiuta l’opposizione a ritornare democratica. Villari non ha soltanto il temporaneo compiacimento di un ruolo di grande responsabilità, allo svolgimento del quale alcuni importanti esponenti dell’opposizione lo garantiscono preparato, come abbiamo visto. Ma ha l’imprevisto ruolo di garante della democrazia. Non dimettendosi egli fa resistenza alla prepotenza delle segreterie, restituendo dignità ai parlamentari. Lunga vita al presidente della commissione di Vigilanza Riccardo Villari. Anche in barba ai baffi di D’Alema (sotto i quali se la ride, per quanto non gli piacciono Di Pietro e il suo scudiero Orlando).

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