di Filippo Facci
A «Otto e mezzo», venerdì scorso, Daniele Capezzone ha dimostrato che neutralizzare Marco Travaglio è un esercizio relativamente semplice. Il problema è che occorre averne voglia, tapparsi il naso, instradarsi in un duello forzato anziché indirizzarsi verso l’unico interlocutore che sarebbe davvero importante: il pubblico. È questa la fregatura dei satiri da circo, quelli di cui Travaglio è campione: devi scendere al loro livello, devi inzaccherarti le scarpe prima di nettarle degli epiteti che ti rivolgono quando vanno in difficoltà. Allora ti dicono «maggiordomo» e magari «pagato dal contribuente», lui che è il maggiordomo di Di Pietro e di vari magistrati (quelli che gli passano le notizie, univoche, parzialissime) e che è pagato dal contribuente per i suoi monologhetti alla tv di Stato. Travaglio dice sciocchezze annichilenti, ma non gl’interessa, non ha dignità professionale: gl’interessa solo rivolgersi alla platea più vasta possibile passando da integerrimo accusatore. Come Di Pietro. È riuscito persino a giustificare l’accostamento tra Berlusconi e Videla: perché erano entrambi iscritti alla P2, ha detto. Ecco: Montanelli, prima di prendere Travaglio a pedate per una settimana, gli ricorderebbe d’aver scritto una Storia d’Italia in sei volumi assieme a un piduista dignitosissimo, Roberto Gervaso. Libri che a modo loro rimarranno, non faldoni di cancelleria.