di Mario Giordano
E adesso qualcuno metta sotto vigilanza il povero Walter. Quest’uomo, che la Iena ha ribattezzato Paperino, è riuscito nell’impresa di dimostrare che c’è qualcuno che a far politica è più incapace di un paracarro. Lui. Ieri finalmente, dopo aver bloccato la vita politica per settimane con l’impasse sulla presidenza della commissione di controllo Rai, ha finalmente tirato fuori dal cappello l’autorevole nome di Sergio Zavoli. Oh benedetto obamino, non potevi pensarci prima? No, dico: a che sono servite 43 riunioni andate a vuoto, l’impuntatura sull’Orlando furioso, quella cecità barricadiera, la fedeltà assoluta a Di Pietro, e poi infine questa pochade da Ridolini con tanto di umiliazione finale? A che? Non era più semplice e ragionevole se il nome di Zavoli lo avessi tirato fuori prima?
Te lo dico, Walter, anche un po’ interessato. In effetti star qui a occuparsi di vigilanza Rai mentre vien giù il mondo è una cosa che grida vendetta al cospetto di chi lavora. È un po’ come se a Stalingrado i russi avessero perso tempo a discutere sulla carica di vice furiere. Ma che ci volete fare? Ogni Paese ha l’opposizione che si merita e noi evidentemente abbiamo gravi colpe: il centrosinistra brilla per fame di posti. Pensate un po’: hanno fatto un sottogoverno ombra che conta ben 84 poltrone. E, pur sapendo che quelle poltrone non contano nulla, ci si sono avventati avidamente sopra. Figurarsi che cosa non possono fare per un posto che, al contrario, qualche vero potere lo dà.
Così, mentre per la Consulta il centrodestra, ricevuto il no per Pecorella, ha subito fatto marcia indietro scegliendo Giuseppe Frigo, fino a qualche giorno fa sembrava che per la Vigilanza Rai non ci fosse nulla da fare. Walterino Paperino si era incaponito su Orlando. Orlando di qui, Orlando di là. Manco fosse un senatore nero dell’Illinois. Non lo mollava più. Gli dicevano: «Fai un altro nome». E lui: «No, Orlando o morte». Irremovibile. «Perché?», gli chiedevano i suoi. E lui guardava Mangiafuoco Tonino, tremava come un bimbo e ripeteva: «Orlando o morte».
Poi è andata come sapete. La commissione ha eletto Villari, Veltroni è finito in un mare di guai e stava per annegare. E ieri, per venirne fuori, ha dovuto fare il giro delle sette chiese. Prima è andato a piagnucolare sul Colle, beccandosi la ramanzina di Napolitano. Poi ha chiesto aiuto al centrodestra, beccandosi i sorrisini di scherno. In confronto Enrico IV a Canossa ci fece un figurone. Alla fine gli hanno lanciato il salvagente. Salvagente ottuagenario, si capisce, ma perfettamente funzionante. E così adesso Walter galleggia e respira, sempre ammesso che oggi riesca a convincere Villari a dimettersi davvero. Fino a ieri sera, da quel che ci risulta, il presidente in carica non si faceva nemmeno trovare al telefono...
In conclusione (o quasi) della farsa, dunque, ci sono poche cose certe. Una di queste, però è la totale inadeguatezza del Walterino barackato. Se fa il bilancio della vicenda, porta i libri in tribunale. È evidente, infatti, che lui ne esce ammaccato e indebolito. Ha dimostrato che perde i pezzi e le correnti, non controlla il partito, non controlla i deputati, non riesce a gestire una votazione in Parlamento, subisce i ricatti dell’alleato manettaro e l’unica linea che riesce a seguire è l’arabesco. Nessuno capisce in che direzione vada. Guardatelo: politicamente sembra che abbia la labirintite. Annaspa continuamente fra il bisogno di dialogo e il celodurismo da Circo (Massimo), un giorno attacca il centrodestra a testa bassa e il giorno dopo corre a chiedergli aiuto, lancia insieme bombe a mano e richieste di Sos, parla di regime poi, dopo poche ore, con il presunto regime, è pronto a siglare patti. Ma come si fa? Fermatelo. O, per lo meno, vigilatelo.