di Cristiano Gatti
Per sessant’anni hanno combattuto tutto questo, rivendicando e sbandierando la propria splendida diversità. Noi duri e puri, noi disinteressati ai privilegi e al potere, noi sempre mossi dal solo ideale. Mentre gli altri, i falsoni democristiani, tutti agli antipodi: cinici, calcolatori, melliflui, attaccati alle poltrone, maniaci dei privilegi e del potere. La politica limpida e generosa contro la politica interessata e paludosa. Già nel ’48 i loro nonni la raccontavano così, prima di perdere l’elezione forse più importante di tutte.
Dev’essere davvero doloroso, adesso, scoprire che quel terribile morbo chiamato Democrazia cristiana era altamente infettivo. Una volta arpionata a morte la Balena bianca, i suoi cacciatori pensavano che il famigerato virus scomparisse assieme alla mastodontica carcassa. Evidentemente non è così. Il nuovo Pd, con orrore, si accorge di averlo in corpo. Purtroppo, forse è già troppo tardi: senza un miracoloso vaccino, al momento nemmeno pensabile, di questo morbo potrebbe presto schiattare. Certo piacerebbe tanto, ai ragazzi di Veltroni, che il popolare Riccardo Villari fosse del centrodestra. Sarebbe perfetto, come avversario. Tornerebbero buoni tutti i bei discorsi così ben avviati già nel ’48.
Villari come massima espressione della politica peggiore, Villari che ha in testa una sola idea fissa, non la stessa degli altri italiani maschi: la sua è questa leggendaria Poltrona, una Poltrona qualunque, purché Poltrona vera e prestigiosa. Villari, un uomo che si avvia a vigilare sui complessi meccanismi della televisione, rivendicando orgogliosamente una prerogativa fondamentale: «Io non guardo mai la televisione». Un uomo che subito dopo l’elezione, quando gli chiedono di dimettersi per servire la strategia di partito, spiega con il tipico eloquio mozzarella e bufala un disegno tutto suo, sempre e comunque in ossequio al partito: sì, lascerò, ma dopo aver trovato una soluzione condivisa, che permetta di superare lo stallo. Commovente: un impareggiabile servitore dello Stato.
E persino in seguito, quando la soluzione condivisa viene trovata su Zavoli, non esita ad anteporre le esigenze superiori del Paese al suo personalissimo tornaconto: la democrazia mi ha liberamente eletto alla Vigilanza, devo obbedire al volere democratico. Mitico. Un altro, ancorato alla Poltrona, si limiterebbe a pronunciare le stesse parole che pronunciarono Napoleone, nel 1805, mettendosi la Corona ferrea, nonché Edwige Fenech, riferendosi ad altro nei celebri film del cineforum veltroniano: dio me l’ha data, guai a chi la tocca. Villari no, non è di questa pasta così prosaica e meschina: lui è democristiano puro. Per non muoversi più di lì, nemmeno se lo fanno brillare col plastico, trova sempre bellissimi e tortuosissimi giri di parole.
Certo: proprio come usava la vecchia Dc, e proprio come rinfacciava il vecchio Pci, nobile antenato dell’attuale Pd. Per questo sarebbe importante e magnifico che Villari oggi fosse del Pdl. Svillaneggiato pubblicamente, sarebbe il collante ideale per rianimare l’anima idealista del partito e rilanciare l’antico spirito di bandiera. Loro volgare gente di potere, divisi in fetide correnti, noi inguaribili idealisti. Sì, Villari sarebbe perfetto per attaccare al Pdl l’etichetta di nuova formazione dorotea, discendente naturale dell’odiosa Balena bianca. E poi vediamo chi vince le elezioni. Proprio un vero peccato: si dà il caso che Villari sia orgogliosamente e cocciutamente del Pd. Né risulta che abbia la minima intenzione di considerare in qualche modo il decreto d’espulsione. No, è a pieno titolo un maggiorente del Pd. Ora ancora più maggiorente, visto che ha pure una Poltrona piuttosto importante.
Sembra di rivedere all’opera il sodale suo, nonché maestro di vita e di traiettorie politiche, Clemente Mastella. Costui, anche se sembra sparito in un vortice due secoli fa, soltanto qualche tempo addietro riuscì a essere alleato così fedele da mandare gambe all’aria il governo delle sinistre, tanto faticosamente imbastito dopo sessant’anni di frustranti tramvate elettorali. Niente da dire, il momento è terrificante: il Pd si guarda allo specchio, ancora così giovane, e già vede chiarissime le macchie del morbo. Potere e correnti, correnti e potere.
Tutte le ributtanti piaghe che nonni e padri di quella famiglia hanno combattuto, improvvisamente ricompaiono sul fisico adolescente. Per quanto amaro e deprimente possa risultare, bisogna riconoscerlo: sessant’anni dopo la memorabile vittoria del '48, la vecchia Dc sta vincendo una seconda volta. In questo caso, nel modo più perfido: uccidendo il nemico del suo stesso male. Come il Pd abbia contratto il virus non è nemmeno difficile da spiegare. Per battere Berlusconi, i nuovi dirigenti si sono accoppiati smodatamente con le ultime peripatetiche dell’antica scuderia Dc, in un kamasutra ardito e acrobatico, senza prendere le doverose precauzioni. Pur di arrivare al dunque, pur di provare il sublime piacere dell’orgasmo elettorale, hanno fatto di tutto.
Il risultato è questo: nessun piacere sublime, perché l’insano accoppiamento non ha mai portato al dunque, ma solo la drammatica scoperta di un devastante contagio. Difficile stimare come si evolverà la malattia. In effetti, non si vedono in giro luminari capaci di debellare il virus. Al momento, tutti quanti possiamo solo riconoscere umilmente l’unica scoperta scientifica dimostrata: sembra incredibile, ma in realtà la Dc non è mai morta. La Dc non morirà mai. È più facile che di Dc muoia il Pd.