di Gaetano Quagliariello
Nel momento in cui Forza Italia si è sciolta, la scelta di Berlusconi di rileggere la dichiarazione che segnò il suo ingresso in politica è stata da più parti giudicata un atto di sufficienza, di superficialità, di arroganza. Credo che questo giudizio sconti un'incomprensione profonda per quanto sta accadendo nel centro-destra: per le potenzialità di una nuova fase e per i suoi rischi. Provo a spiegarmi.
La nascita del Popolo della Libertà è un atto di cambiamento, ma anche di continuità con la rivoluzione berlusconiana. E' il proseguimento della rivoluzione dei semplici e del buon senso, che nel 1994 impedì che il nostro Paese, contro la storia, finisse nelle mani di chi dalla storia era stato sconfitto. E' un nuovo traguardo della rivoluzione dei tenaci: di quei cristiani che non hanno accettato che la loro fede scadesse a progressismo politicamente corretto; di quei socialisti che non si sono fatti criminalizzare; di quei liberali che hanno continuato con orgoglio ad essere e definirsi liberali anche quando ciò era considerato poco più che una parolaccia. E' la rivoluzione di un Paese che, nonostante tutto, non vuole tornare indietro.
Le ultime elezioni politiche ci hanno consegnato un Parlamento e un'Italia con volti nuovi. Per comprendere la portata del cambiamento bisogna andare molto indietro nel tempo. Non si tratta soltanto della semplificazione in senso bipolare, quasi bipartitico, della nostra rappresentanza istituzionale. C'è qualcosa di più profondo. In Parlamento non siedono più le forze comuniste, e neanche la loro versione post-moderna nascosta dietro l'ideologismo ambientalista; ed è stato risolto una volta per tutte l'equivoco del partito unico dei cattolici, poiché si è dimostrato che i cattolici, in politica, possono stare da una parte e dall'altra, e non hanno bisogno di auto-confinarsi nel minoritarismo identitario, in quella che è solo la versione in scala di una grande esperienza del passato giustificata da ragioni storiche che oggi non ci sono più.
Andando verso il PdL, Forza Italia rispetta e anzi consolida il percorso indicato dagli elettori. Di più: nell'attesa che nelle sedi opportune si individui la strada per adeguare la nostra architettura istituzionale e le relative regole di funzionamento al nuovo assetto politico, la nascita del Popolo della Libertà è il primo atto di costituzione materiale che vada esattamente in questo senso.
A ridosso del 13 e 14 aprile, con la costituzione del Pd, sembrava che anche i nostri avversari avessero trovato il coraggio di fare lo stesso, e ne avevamo dato loro atto. Ma, giunto a metà del guado, il partito di Veltroni ha scelto di tornare indietro. Ad aprile noi abbiamo rifiutato l'alleanza con formazioni nazionali che non avevano aderito al progetto del PdL; loro si sono uniti in matrimonio con Antonio Di Pietro. Nei nostri gruppi il partito unico si costruisce un po' ogni giorno, e ci si amalgama sempre più; loro si sono divisi, e risolvono le controversie interne attraverso processi ed espulsioni. Noi confermiamo quotidianamente la volontà di parlare ai moderati; loro si estremizzano perseverando nell'alleanza con l'Italia dei Valori, che ogni giorno introduce elementi eversivi nella vita politica del nostro Paese; nel primo appuntamento importante dopo le elezioni di aprile, in Abruzzo, noi abbiamo confermato la nostra scelta di semplificazione del quadro politico, e abbiamo assunto le nostre decisioni in un'ottica che andasse oltre la logica della sommatoria tra partiti; loro, in nome del veltronismo, sono tornati a proporre agli elettori una nuova versione dell'Unione prodiana.
Fin qui, le differenze tra "noi" e "loro". E' necessario, però, che il legittimo e doveroso orgoglio per i passi avanti compiuti rispetto al processo involutivo dei nostri avversari - che, è bene ribadirlo, non è un fatto positivo per nessuno - non ci distolga dalla consapevolezza del lavoro che resta ancora da fare. Il grande partito moderno e carismatico che stiamo costruendo, infatti, è e deve restare un partito. Dunque, deve porsi positivamente il problema del radicamento territoriale, raccogliendo la sfida che a nord, e se non faremo attenzione presto anche a sud, gli alleati ci stanno lanciando; e deve porsi il problema del rapporto tra governo, maggioranza e partito in un quadro politico e istituzionale profondamente mutato, quantomeno sul piano sostanziale.
E dobbiamo fare in fretta. La transizione verso la seconda Repubblica nel nostro Paese è durata anche troppo, dunque per il bene dell'Italia dobbiamo fare in modo che la gestazione del grande partito maggioritario dei moderati e dei liberali sia la più breve possibile. Potremo ricevere in ciò un aiuto indispensabile nella spinta propulsiva del carisma berlusconiano che continua e che Berlusconi ha inteso emblematicamente ribadire riandando alle origini della sua presenza in politica. Non gli si può chiedere di più. Come sedimentare e dare durata a quella epifania spetta a noi. Se sapremo dimostrarci in grado.