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 GIUDICI CONTRO, l'opinione di Bruno Vespa Data: 10/12/2008
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
La cosa più straordinaria è che nessun grande quotidiano, salvo sporadici richiamini, ha sbattuto la notizia in prima pagina. Evidentemente le anomalie patologiche della magistratura italiana non fanno più un gran rumore. È scomparso in due giorni ogni accenno alla situazione giudiziaria napoletana: un assessore che prima si dimette e poi si uccide, il sindaco che parla del segreto istruttorio come del segreto di Pulcinella, i giornali che sanno di provvedimenti clamorosi in arrivo (il segreto di Pulcinella, appunto). Non possono ovviamente anticiparne i dettagli, ma lasciano intuire un terremoto. Vero? Falso? Chissà. Ma intanto sangue e fango si mescolano.
Arriva poi la seguente notizia: alle 8 del mattino di martedì 2 dicembre sei sostituti guidati dal procuratore della Repubblica di Salerno in persona circondano gli uffici della procura della Repubblica di Catanzaro e le abitazioni di alcuni alti magistrati con un centinaio di carabinieri e una ventina di poliziotti. Entrano, perquisiscono case e uffici fino a tarda sera. Destinatari dell’attenzione dei colleghi il procuratore capo di Catanzaro, il procuratore aggiunto, il procuratore generale reggente. Cioè tre persone al vertice della magistratura calabrese. L’accusa è pesantissima: concorso in corruzione in atti giudiziari per aver tolto a un loro notissimo e controverso collega, l’ex sostituto procuratore Luigi De Magistris, due inchieste importanti (Why not e Poseidone) «per smembrarle, disintegrarle e favorire alcuni indagati». Il capofila di questi indagati è Clemente Mastella, leader dell’Udeur e già ministro della Giustizia. Mastella, da Guardasigilli, aprì il procedimento disciplinare contro De Magistris che, con uno dei rari provvedimenti esemplari del Consiglio superiore della magistratura, fu trasferito di sede (Napoli) e di funzioni (è giudice al tribunale del riesame). Dopo aver avviato il procedimento, Mastella e il presidente del Consiglio Romano Prodi furono indagati da De Magistris. La procura di Salerno sta conducendo altre due inchieste: una sulla magistratura lucana e un’altra, assai più clamorosa, sul vice presidente del Consiglio superiore della Magistratura, Nicola Mancino (per presunti rapporti con l’uomo chiave di Why not, Antonio Saladino), il procuratore generale della Cassazione, Mauro Delli Priscoli (appena andato in pensione) e su Vito D’Ambrosio, per un decennio governatore delle Marche in quota Ds e ora sostituto procuratore generale della Cassazione e sostenitore in Consiglio dell’accusa nel procedimento a carico di De Magistris.
Noi ovviamente non conosciamo i confini tra la ragione e il torto, tra il lecito e l’illecito. Ma ci colpiscono due circostanze inquietanti. La prima: per una fatale coincidenza chiunque abbia dissentito in via giudiziaria o amministrativa da De Magistris si trova sotto inchiesta da parte di suoi colleghi. La seconda: non era mai accaduto nella storia italiana che un procuratore della Repubblica si presentasse a un altro procuratore della Repubblica accompagnato da un esercito di carabinieri finora impiegati soltanto per le grandi operazioni di criminalità organizzata.
A questo punto i cittadini sono autorizzati a sospettare di tutti: procuratori della Repubblica e procuratori generali, sostituti procuratori e vice presidente del Csm. Se i crociati di Salerno documentassero l’esistenza di una cupola mafiosa ai vertici della magistratura, sarebbero dei benemeriti. Ma se si fossero sbagliati? Chi ripagherebbe le istituzioni del fango di questi giorni? Chi verrebbe punito? Nessuno, probabilmente. E la credibilità del sistema giudiziario andrebbe definitivamente a picco.

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