So che stupirò molti lettori, ma nella polemica scoppiata dopo che il sindaco di Firenze si è incatenato davanti alla redazione della Repubblica e dell’Espresso, io sto con Leonardo Domenici. Anche se non lo conosco, mi sono convinto che in questa faccenda di veleni e affari il sindaco abbia ragione. O, almeno, che ce l’abbia fino a prova contraria, ovvero fino a che un giudice non riesca a dimostrare che anche lui ha compiuto qualche atto contro la legge.
Perché prendo le sue difese? Perché Domenici mi sembra l’ultima vittima di quel perverso sistema che per anni ho visto all’opera. Un sistema che ha per protagonisti le procure e i giornali.
Mi spiego. Dal 1992 in poi, prima che nei tribunali, i processi si celebrano sulle pagine dei quotidiani. Anzi, le notizie vengono pubblicate prima ancora che l’accusa formuli la richiesta di rinvio a giudizio. In qualche caso, addirittura, c’è l’avviso di garanzia a mezzo stampa.
Leonardo Domenici, che indagato non è, essendo a capo di una giunta in cui alcuni assessori sono stati indagati, è stato “coinvolto” per contiguità, con i si dice, i sospetti, le chiacchiere. Anche questo mi è già capitato di vederlo. Persone assolutamente innocenti travolte dagli spifferi delle procure.
Il metodo è barbaro. Perché questo anticipare notizie di reato che magari reato non sono e ipotesi di sviluppi giudiziari tutti da dimostrare non consente alcuna difesa. Il processo a mezzo stampa, la pubblicazione di ogni atto, di ore d’intercettazioni, produce quasi sempre la condanna preventiva dell’opinione pubblica, contro la quale non c’è appello. Il cittadino innocente non ha modo di far valere le proprie ragioni. Le querele, se non si è magistrati, non servono: le sentenze arrivano, quando arrivano, dopo anni e non ristabiliscono l’onorabilità.
La colpa di tutto ciò non è dei giornalisti, come ho spiegato spesso, ma delle mani che passano le notizie. Mani che hanno accesso ai fascicoli e ai segreti. Ci vorrebbe poco a capire a chi appartengono quelle mani, ma nessuna seria inchiesta è mai stata condotta sulle fughe di notizie. Mai sono stati controllati i telefoni, gli spostamenti, gli incontri dei servitori della giustizia. Quattordici anni fa per l’avviso di garanzia a Silvio Berlusconi recapitato dal Corriere della sera neanche ci si preoccupò di verificare quali cellulari avessero in uso i magistrati.
Di solito si preferisce incolpare i cancellieri. Ma non c’è impiegato che abbia interesse a propalare anticipazioni di un’inchiesta. I soli che possono trarne vantaggio sono gli investigatori e i pm. Sono loro che godono di un ritorno d’immagine sui media, loro che auscultano le reazioni dell’indagato o del probabile indagato al diffondersi della notizia, loro che ne guadagnano in popolarità e potere. Finché non si interromperà questo sistema perverso che passa le carte alle redazioni, i processi continueranno sulle pagine dei giornali e saranno dibattimenti senza regole, con accuse basate sul pettegolezzo e sulle conversazioni telefoniche.
C’è chi sostiene che la pubblicazione contribuisca a rafforzare il controllo dell’opinione pubblica sulla politica. Che sia una sorta di giudizio etico, prima che penale. Personalmente lo ritengo pericoloso. La sanzione etica può fare molti danni e molte vittime. Lo si vide all’epoca di Mani pulite, con una decina di suicidi. Lo si è visto a Napoli, con la tragica fine dell’assessore Giorgio Nugnes.
Tenere per sei mesi sulla graticola le persone e lasciare che le notizie filtrino sui giornali è aberrante. E non mi si dica che è una tortura a fine di giustizia.
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