All’accordo! All’accordo! Il clima riformistico sulla giustizia sembra migliorato a destra e a manca dopo le follie compiute sull’asse Salerno-Reggio Calabria. Ma quante buone intenzioni reggeranno alla prova dei fatti? Pier Ferdinando Casini sarà molto collaborativo. Antonio Di Pietro ha annunciato guerra su tutti i fronti. E il Partito democratico? I suoi dirigenti sono divisi, è difficile aspettarsi dal partito scelte rivoluzionarie.
Il primo assaggio è atteso prima di Natale, quando il guardasigilli Angelino Alfano presenterà in Consiglio dei ministri la prima riforma, quella che influisce sui poteri del pubblico ministero assai più (e più utilmente) della chimerica separazione delle carriere. Si tratta di restituire alla polizia giudiziaria i poteri che questa aveva fino al 1989, quando entrò in vigore l’attuale Codice di procedura penale. Intenzione del governo è di lasciare a Polizia, Arma dei carabinieri, Guardia di finanza l’autonoma acquisizione delle notizie di reato e di comunicarle al magistrato che solo in quel momento potrà avviare l’azione penale. Si accerti prima l’ipotesi di reato, insomma, e poi si proceda.
Uno dei padri di questa riforma è l’ex pubblico ministero di Catanzaro Luigi De Magistris, che ha portato al parossismo alcune anomalie già presenti in parecchi uffici della pubblica accusa. È accaduto spesso, infatti, che i procuratori si siano mossi con quella che è stata acutamente definita la «pesca a strascico». Immagini che un tizio possa aver commesso il reato, lo iscrivi nel registro degli indagati e cominci a intercettare lui e migliaia di suoi interlocutori nella speranza di trovare qualcosa. Alcune volte va bene, altre no.
Con questo sistema De Magistris ha intercettato migliaia di persone e avviato inchieste (poi bloccate) su mezza Italia. Per vendicarne il siluramento, i procuratori di Salerno lo hanno ascoltato 65 volte e hanno messo sotto inchiesta non solo i colleghi di Catanzaro che avevano ereditato le sue inchieste, ma gli stessi vertici del Consiglio superiore della magistratura che si erano permessi di trasferirlo. È così esplosa la visibilità di quell’eccesso di potere dei pubblici ministeri al quale ora si cercherà di porre rimedio.
Il punto centrale della proposta governativa è che il pm non avrà più potere d’iniziativa: dovrà aspettare il rapporto della polizia o la segnalazione di un cittadino. Luciano Violante considera stravagante che se il procuratore legge una notizia di reato sul giornale non possa muoversi. Osservazione giusta con due obiezioni: la prima è che i giornali li legge anche la polizia, la seconda è che al pm non mancherà modo di farsi arrivare sul tavolo in tempo reale la segnalazione da un amico.
D’altra parte la totale discrezionalità di cui oggi godono i procuratori ha portato a risultati così aberranti che qualche sacrificio bisognerà pur farlo. Non si può, inoltre, sostenere che nei quarant’anni in cui questo sistema era in vigore prima del 1989 (quando Violante era giudice istruttore) abbia dato pessimi risultati. Si aggiunga che le nuove norme, se approvate, affideranno alla polizia giudiziaria anche la facoltà di svolgere indagini su filoni paralleli a quelli indicati dal magistrato in modo da arricchire il fascicolo investigativo.
Questa riforma non tocca la Costituzione e metterà subito alla prova la buona volontà dell’opposizione. Da parte sua il premier farebbe bene a recedere dall’ostinazione di togliere dalla riforma delle intercettazioni reati come corruzione e concussione in modo da accelerarne l’approvazione. La separazione delle carriere è assai meno urgente, mentre sulle priorità dei reati da perseguire e sulla stessa diversa composizione del Csm (elemento centrale della riforma, ma di valenza costituzionale) l’accordo con il Pd è possibile.