di Mario Giordano
Difendere il Pd? No, grazie. Non questo Pd. Non il Pd che s’è affidato all’abbraccio mortale con Di Pietro, non il Pd che in un anno, sulla strada dei girotondi, ha dilapidato il suo patrimonio di credibilità. Non il Pd del Circo Massimo, non il Pd che cavalca l'Onda, non il Pd che solletica la piazza diffondendo menzogne. Non il Pd che predica la superiorità morale mentre annega nell'immoralità, non il Pd che insegna la pulizia mentre sprofonda nella sporcizia. Non il Pd che sale sul pulpito per urlare che la sinistra rappresenta «l'Italia migliore» mentre le sue giunte cadono a pezzi sotto le inchieste della magistratura. Non il Pd che grida contro Berlusconi tiranno e dittatore. Non questo Pd, che non s’è mai saputo dare un tono, ma purtroppo s’è dato un Tonino.
Difendere il Pd, come chiede per esempio Giuliano Ferrara, sarebbe possibile se Veltroni in un anno avesse fatto un po’ di quello che aveva promesso. Se, anziché buttarsi fra le braccia del trattorista di Montenero, avesse provato davvero ad andare da solo. Se avesse creato una sinistra liberata dall’odio anti-berlusconiano, un partito unico capace di elaborare un progetto dell’Italia anziché ripetere all’infinito il proposito di distruzione dell’avversario. Se avesse avanzato un’idea, una proposta, un suggerimento al di là del fin troppo facile e scontato «dagli al Cavaliere».
Non esultiamo di fronte alle inchieste giudiziarie. Tutt’altro: continuiamo ad avere molti dubbi sul modo di procedere dei magistrati, sui tempi degli arresti, sull’uso delle manette e sui contenuti delle accuse. E il fatto che il Partito democratico sia dato già per morto, se non altro dai vignettisti della sinistra, ci preoccupa. Così come ci preoccupa l’inevitabile paragone che in queste ore corre sulle pagine dei giornali fra il Psi di Craxi del ’92 e il Pd di Veltroni di oggi (il finale è sempre previsto in Africa, anche se forse non a Hammamet). Il crollo dell’opposizione non è mai un bene per una democrazia. E l’avanzata di Di Pietro, pronto a fagocitare l’intera sinistra, ancor meno.
Ma non se ne esce se non si capisce che questo è il risultato del fallimento di Veltroni. Abbiamo l’impressione che il segretario del Pd abbia giocato col fuoco, sperando che l’alleanza con Tonino e il partito dei magistrati lo aiutassero a regolare conti interni. La situazione, però, evidentemente gli è scappata di mano. E se dopo oltre un anno di conduzione è costretto a dire che non si riconosce nel partito che conduce, bene, ha solo una strada da seguire: deve prendere atto del suo flop e andarsene. Così il Pd potrà difendersi. E così, forse, potremo difenderlo anche noi.