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 PD, OVVERO FLOP COME LA FUSIONE FREDDA Data: 20/12/2008
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
EDITORIALE DI Maurizio Belpietro

Nella pur breve storia del bipolarismo italiano non era mai successo che il partito all’opposizione perdesse malamente le elezioni. Dalla metà degli anni Novanta, ogni consultazione di medio termine, locale o nazionale che fosse, ha sempre visto premiato lo schieramento che non aveva responsabilità di governo. Silvio Berlusconi vinse tutto ciò che c’era da vincere mentre Romano Prodi e Massimo D’Alema stavano a Palazzo Chigi e così fu anche per Piero Fassino, quando, tra il 2001 e il 2006, toccò al Cavaliere fare il primo ministro.

Per questo motivo la bruciante sconfitta in Abruzzo è illuminante di quello che sta succedendo nella politica italiana. Non solo segnala che la luna di miele tra il governo e il Paese non si è ancora interrotta, nonostante siano trascorsi da tempo i classici cento giorni, ma indica che il Partito democratico è in crisi nera, tanto da non essere considerato non dico un’alternativa all’attuale centrodestra, ma neppure un contenitore in grado d’intercettare il malcontento o il voto di protesta.
La vera novità della consultazione regionale di domenica scorsa non è, dunque, la vittoria di Gianni Chiodi e neanche l’avanzata di Antonio Di Pietro, bensì il fiasco del Pd. So che molti pensano al contrario e cioè che il successo dell’Italia dei valori sia il vero fenomeno da indagare per capire quanto sta accadendo nel centrosinistra. Certo, il raddoppio dei consensi è strabiliante, ma non bisogna confondere la causa con l’effetto. La crescita dell’Idv è una conseguenza collaterale, probabilmente neppure duratura, della sconfitta di Walter Veltroni. Se ci fosse stato un Partito democratico forte, con un leader carismatico e autorevole, l’ex pm di Mani pulite non avrebbe certamente sfiorato simili picchi di consenso.

Che il problema principale sia il pensiero debole del Pd e del suo numero uno, risulta evidente anche sulla base di altre considerazioni. Nel caso del Popolo della libertà appare chiaro chi lo guida e anche qual è il programma politico che il partito intende realizzare, ossia uno stato che tuteli i suoi cittadini ma senza rapinarli con le tasse. Anche la Lega e l’Idv sono retti da leader indiscussi e propugnano progetti forti (la prima il federalismo e la sicurezza, la seconda la lotta contro i corrotti). Invece il Pd lancia messaggi che non colpiscono l’elettore. Il passo del Partito democratico appare incerto: vorrebbe essere riformatore ma non sa su quali riforme puntare, vorrebbe opporsi ma non sa bene contro che cosa e, quando lo fa, va a rimorchio, talvolta degli studenti, sovente dello stesso Di Pietro.
Molto probabilmente la responsabilità di tutto ciò è in larga misura di Veltroni. L’errore capitale commesso dal segretario del Pd è stata la decisione di apparentarsi alle elezioni con Di Pietro invece che con i socialisti: se avesse optato per quest’ultimi, il centrosinistra avrebbe comunque perso le elezioni, ma oggi non sarebbe alle prese con un avversario interno cui lo stesso Pd ha fatto da levatrice. Con i lontani eredi di Filippo Turati, il Partito democratico avrebbe dato vita a uno schieramento riformista, invece si ritrova stretto in un abbraccio mortale con l’alleato.
Nonostante sia convinto che Veltroni porti il peso dei suoi errori, non posso fare a meno di ricordare che la nascita del Pd fu una fusione fredda, ossia l’unificazione a tavolino di due partiti che avevano storie e riti completamente diversi. Lo sbando di oggi è la conseguenza di un’unione nata male ieri. Un esperimento in laboratorio, proprio come quello che tentarono gli scienziati Martin Fleischmann e Stanley Pons. Il risultato si sa quale fu. Un flop.

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