Si è spento a Roma, al Policlinico Umberto I dove era ricoverato per un delicato intervento chirurgico, il magistrato Claudio Vitalone, oggi alla guida della settima sezione penale della Cassazione, dal 1979 più volte senatore e sottosegretario per la Democrazia Cristiana dove per molti anni è stato fra i principali collaboratori di Giulio Andreotti.
Nato a Reggio Calabria il 7 luglio 1936, Claudio Vitalone, morto la notte scorsa a Roma, ha alternato l’attività politica a quella di magistrato, carriera quest’ultima tormentata dalla vicenda giudiziaria che l’ha visto coinvolto, assieme ad Andreotti, nel processo per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, da cui fu però assolto.
Sposato, quattro figli, Vitalone si laurea in giurisprudenza ed entra in magistratura nel 1961, diventando sostituto procuratore presso la procura della Repubblica e la procura generale della capitale, fino a consigliere di Cassazione quando, imputato nel processo Pecorelli, nel ’93 viene sospeso dalle funzioni e dallo stipendio. Una volta prosciolto definitivamente, chiede e ottiene - non senza aver ingaggiato un braccio di ferro con il Csm - il riconoscimento alla ricostruzione della carriera, con la nomina a presidente di sezione della Suprema Corte.
Vitalone iniziò ad occuparsi di politica nel 1952 iscrivendosi ai gruppi giovanili della Dc. Due anni dopo è segretario politico della sezione democristiana di Monteverde Vecchio, a Roma. Eletto senatore quattro volte, la prima il 3 giugno ’79 nel collegio di Tricase, è ministro del commercio estero nel Governo di Giuliano Amato e presiede varie commissioni, come l’antimafia e quella inquirente per i procedimenti di accusa. Ha svolto l’incarico di sottosegretario agli affari esteri nel sesto e settimo esecutivo guidato da Giulio Andreotti. A livello europeo è stato coordinatore per l’Italia della lotta alla droga in seno alla Cee. Si era dimesso da senatore il 6 agosto del 1992.
L’ultima vicenda che lo ha visto protagonista è legata alla battaglia con il Csm nel gennaio 2007: in forza della cosiddetta "legge Carnevale" (varata dal precedente governo Berlusconi in base alla quale hanno diritto al reintegro e alla ricostruzione della carriera i pubblici dipendenti sospesi dal servizio in conseguenza di un procedimento penale concluso con l’assoluzione), Vitalone chiedeva giustizia. Fino a dover fare ricorso al Tar e al Consiglio di Stato contro il Csm che gli negava il diritto a ricostruirsi una carriera. Alla fine Nicola Mancino, vicepresidente dell’organo di autogoverno dei magistrati, in qualità di "commissario ad acta", ha dato seguito alle decisioni della giustizia amministrativa stabilendo l’insediamento di Vitalone sulla poltrona di presidente di sezione. Un ruolo che comunque il magistrato aveva già svolto in questi anni, in Cassazione, nei collegi in cui risultava il più anziano.