L’ultima guerra del Libano fu durante la nostra estate del 2006, questa di Gaza travolge il nostro inverno. L’atmosfera è cupa, il dolore lancinante, le immagini catastrofiche, e per quanto Tsahal sappia colpire dall’alto il nemico entro un perimetro sorvegliato di 2 metri, gli innocenti in ogni guerra finiscono nel bersaglio. Figuriamoci adesso che le guerre jihadiste e terroriste dei nemici di Israele e dei crociati cristiani fanno saltare deliberatamente decine di bambini in Afghanistan, bruciano folle di credenti in preghiera in Pakistan, circondano le scuole della regione di Kandahar minacciando di uccidere le bambine abilitate a frequentare le odiate scuole occidentaliste, terrorizzano Mumbai con la guerriglia di strada contro indù e occidentali e l’esecuzione a freddo dei missionari ebrei.
La pietà è erosa dalla guerra di civiltà, dal fanatismo ideologico binladenista, dall’islamismo politico radicale sparso per ogni dove. Il mondo si imbruttisce e le immagini apocalittiche da Gaza ci ricordano quanto sia sfregiato là dove comandano i guerrafondai di Hamas, i militanti di Khaleed Meshal al soldo di volta in volta della Siria e dell’Iran, come gli hezbollah, tutti a seminare terrore e a rompere fragili tregue sotto l’ombrello prenucleare di Mahmoud Ahmadinejad, il gentiluomo che ci ha fatto gli auguri di Natale dagli schermi britannici di Channel 4.
Per chi non volta la faccia dall’altra parte, i fatti sono rocciosi, non li si può aggirare. O gli ebrei se ne tornano da dove erano venuti, e quelli nati lì si dispongono a una nuova diaspora senza protezione, senza focolare, senza patria, senza stato, oppure devono difendersi con la deterrenza. Mentre arabi, palestinesi e protettori regionali iraniani celebrano la loro discordia, ma appena ottengono legittimazione per uno stato autonomo in Palestina subito alcuni di loro bruciano la Palestina e rilanciano la vocazione all’eliminazione dell’odiata entità sionista dalla carta geografica, Israele è condannata al destino nazionale di una guarnigione assediata che ha l’obbligo di incutere timore reverenziale ai suoi vicini.
Va via dal Libano meridionale e il fronte del nord diventa impossibile da vivere per i suoi civili colpiti dai razzi di Hezbollah. Va via da Gaza, cacciando con la forza in un lacerante dolore i suoi coloni che vivevano lì pacificamente da anni, con le loro città giardino e le loro sinagoghe, ed ecco che il fronte sud del paese diventa il bersaglio dei missili Kassam.
Barack Obama dovrà ora essere all’altezza delle sue dichiarazioni rese nella città martirizzata dai missili di Hamas, Sderot. «Qualunque cosa» disse l’estate scorsa in piena campagna elettorale, «anything», farei qualunque cosa per proteggere la casa dove dormono i miei figli aggredita dai missili di Hamas. Ma tutti noi, occidentali ed europei storditi dall’impotenza della nostra coscienza pulita e codarda, dagli inutili appelli alla pace quando la tregua è rotta, dobbiamo riflettere sulla doppia condanna di Palestina.
Le popolazioni civili arabe di Gaza e dei territori sono travolte dallo spirito di guerra degli estremisti che prendono il sopravvento, e il popolo di Israele è costretto a mostrarsi potente, spietato, chirurgico nella capacità di amputare le mille braccia del male che si annidano tra i civili nelle aree affollate di un territorio, la Striscia, guidato da una banda di terroristi animati dal sacro fuoco islamista e dalla fanatica idea di perseguire il bene e il paradiso maomettano con le loro mense popolari e le loro bombe umane.
L’ultima condanna degli ebrei è di mettere paura al mondo mentre si battono per sopravvivere.