di Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
Indietro tutta. Cominciamo dalla fine. Di Pietro ha deciso di presentarsi in procura a Napoli per «fornire testimonianza», spiega, sull’appaltopoli partenopea. E non è finita: venerdì ha cambiato statuto all’Idv. «Si ripulisce», scrive Libero, quotidiano al quale l’ex pm ieri ha inviato copia dell’atto notarile con cui la gestione dei rimborsi elettorali dell’Idv viene assegnata non più alla triade formata da Tonino, sua moglie e la Mura, ma all’ufficio di presidenza, finalmente composto da sette persone. Eppure l’aver riparato a una delle anomalie che il Giornale da più tempo metteva in evidenza non gli impedisce di attaccare ancora questo quotidiano. E di definirsi vittima di un’«azione criminale portata avanti scientificamente da persone e mass media di proprietà del presidente del Consiglio Berlusconi».
Davvero curioso che da un lato Di Pietro lanci violenti strali contro il Giornale e dall’altro, pur eludendo le domande che gli sono state poste, finisca per dimostrare con i fatti che erano, per dirla alla sua maniera, azzeccate. Cominciando da quelle intercettazioni tra suo figlio Cristiano e l’ex provveditore alle opere pubbliche di Campania e Molise Mario Mautone. Minacce di querele, smentite, e poi quando saltano fuori le trascrizioni ecco che il leader Idv prende le distanze dal delfino: «Niente di penalmente rilevante, ma Cristiano ha sbagliato». Seguono dimissioni dal partito del giovane Di Pietro (che mantiene la poltrona di consigliere provinciale) e nuove versioni difensive «locali» del papà, che per esempio al quotidiano Primo piano Molise sulla vicenda di Cristiano dichiara: «Si è occupato del suo Molise, magari facessero tutti così».
Stessa storia sulla fuga di notizie. Cristiano nell’estate del 2007 smette da un momento all’altro di parlare con Mautone al telefono, Di Pietro, allora ministro, trasferisce l’ex provveditore e, scrive la Dia, «fa una riunione politica dove chiede ai suoi collaboratori di tenere fuori il figlio poiché “ritenuto troppo esposto”». Per gli inquirenti la presunta fuga di notizie è un «episodio inquietante». E qualche dubbio lo sollevano pure le dichiarazioni di Di Pietro che, prendendo le distanze da Mautone, pensa bene di spiegare di averlo trasferito apposta, appena avute le «prime avvisaglie» dell’inchiesta. Chi gliel’aveva date quelle avvisaglie su un’indagine, quella sugli appalti napoletani, all’epoca in pieno svolgimento e assolutamente riservata? Finora Di Pietro ha risposto come suo solito annunciando querele, e sostenendo di aver «appreso dalle agenzie di stampa», che naturalmente di quell’indagine nell’estate 2007 non avevano mai fatto cenno. Avevamo anche chiesto chiarezza sui suoi rapporti con Mautone, dal quale lui ha preso le distanze dopo l’arresto ma che ancora a dicembre 2007 trattava con familiarità a un convegno, definendolo «il mio direttore generale che ha tanta pazienza da venire appresso a me». E anche qui, invece di chiarire, Di Pietro ha replicato minacciando querele.
Eppure adesso, dal suo blog e dalle colonne di Libero, Di Pietro annuncia che la prossima settimana andrà a Napoli a parlare con i magistrati della Dda «per fornire loro la mia testimonianza di cittadino, di parlamentare e di ex ministro delle Infrastrutture». Buon ultimo. Francesco Rutelli, come Di Pietro tirato in ballo indirettamente dalle intercettazioni (ma sul quale non ci sono dubbi su fughe di notizia di sorta), aveva voluto essere ascoltato dai magistrati il giorno stesso della pubblicazione dell’ordinanza, precipitandosi a Napoli per spiegare la sua posizione. C’è da ricordare che i pm, interrogando Mautone, avevano glissato quando l’ex provveditore stava accennando ai motivi del suo trasferimento ordinato dall’ex ministro: «Non ci interessa». E a Panorama che domandava a Mautone «che cosa le hanno chiesto i pm su Di Pietro» il funzionario ha risposto: «Non mi è stata fatta alcuna domanda sull’argomento».
L’ultima retromarcia di Di Pietro, appunto, è sulla struttura del suo partito e sulla gestione dei finanziamenti e dei rimborsi elettorali. Il Giornale per primo ha rimarcato quella anomala dicotomia, che vedeva accanto al «Movimento Italia dei valori» un’«Associazione Italia dei valori» dove i soci erano solo tre (l’ex pm, sua moglie e la tesoriera Silvana Mura) e dettavano legge per tutti, visto che Di Pietro aveva mantenuto per sé i poteri statutari. L’associazione tra l’altro introitava i rimborsi elettorali per conto dell’Idv (20 milioni di euro, soldi pubblici) e certificava i rendiconti. Lo abbiamo scritto, Libero ci ha dato ragione, e Di Pietro ha dato ragione a Libero. Chissà perché, però, il Giornale sarebbe parte di - parole sue - un’«associazione a delinquere vera e propria che opera nell’ottica di un unico disegno criminoso» e utilizza «soprattutto l’arma della denigrazione e della disinformazione». Questo per aver messo in evidenza una serie di punti sui quali, nei fatti, Di Pietro ha finito per darci ragione, seppure per «interposta testata».