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 PARTITO DEI SINDACI, ILLUSIONE PERDUTA, editoriale di Maurizio Belpietro Data: 13/01/2009
Appertiene alla sezione: [ Opinione ]
C’era un volta il partito dei sindaci. Era il fiore all’occhiello della sinistra e nelle intenzioni dei suoi artefici avrebbe dovuto fornire al Paese una nuova e sperimentata classe dirigente, cioè politici forgiati nell’amministrazione di grandi città, che all’occorrenza avrebbero potuto competere per la leadership dell’Ulivo, già allora fiacca al punto da aver costretto i Ds a candidare a Palazzo Chigi un notabile democristiano come Romano Prodi. Di quel serbatoio di belle speranze i più in vista erano Francesco Rutelli, Massimo Cacciari e Antonio Bassolino, tre primi cittadini che all’epoca erano oggetto di sperticate lodi da parte di giornali e tv, al punto che qualcuno giunse a dipingere l’ultimo del terzetto come una specie di Lorenzo il Magnifico del Rinascimento campano.
A distanza di 10 anni, di quel movimento non resta più niente. Rutelli, dopo essere stato sconfitto da Gianni Alemanno nella corsa per il Comune di Roma, non si è più ripreso. Cacciari ha l’acqua alta in casa e si avvia a chiudere malinconicamente il suo mandato. Bassolino, che invece in casa aveva i rifiuti, vive i suoi ultimi giorni da governatore asserragliato nel bunker di Palazzo Santa Lucia.
Presentatosi come simbolo di buona gestione, il partito dei sindaci, al contrario, appare oggi come l’emblema della cattiva amministrazione. Una miscela di errori, scontri di potere e scandali giudiziari sta fiaccando Rosa Russo Iervolino a Napoli, ma anche Marta Vincenzi, il sindaco di Genova che deve vedersela con lotte intestine e inchieste giudiziarie sugli appalti del comune.
Di quello che un tempo era considerato il vivaio della sinistra resistono pochi amministratori, ma sempre più disorientati ed esausti. Come Sergio Chiamparino, il primo cittadino di Torino, che un giorno annuncia di dimettersi da ministro ombra e l’altro minaccia di fondare una Lega di sinistra. O come Leonardo Domenici, l’uomo che guida per conto del Pd la giunta di Firenze e che per protestare contro La Repubblica si è incatenato all’uscio della redazione locale. Mentre Sergio Cofferati, da cinque anni al timone di Bologna, ha già pronunciato un addio senza rimpianti.
E i governatori delle regioni, che in una certa misura militavano anch’essi nel partito dei sindaci, non stanno meglio. Di Bassolino s’è detto. Del presidente della Calabria, Agazio Loiero, sono note le difficoltà, anche giudiziarie. Claudio Burlando in Liguria resiste a fatica. Riccardo Illy, che nel passato veniva accostato a Rutelli, Bassolino e Cacciari nel firmamento degli astri nascenti della sinistra, sconfitto alle elezioni friulane, è di fatto uscito di scena.
La fine del partito dei sindaci coincide curiosamente con un periodo di crescente difficoltà per la leadership del Partito democratico. Mai come oggi, mentre Walter Veltroni è messo in discussione, servirebbe un deposito cui attingere. Mai come oggi sarebbe indispensabile per la sinistra disporre di figure alternative. Tramontato il movimento dei cacicchi (così furono chiamati, evocando i capi indiani d’America ai tempi della dominazione spagnola), per il posto di segretario del Pd non restano che le leve interne, ossia quei funzionari cresciuti alla scuola di partito. Volti già visti, in gran parte usurati da anni di militanza.
Tutto ciò contribuisce a tenere in piedi la leadership di Veltroni, che, seppur debolissima, al momento non ha alternative. Per trovare una nuova guida carismatica a sinistra probabilmente bisognerà aspettare qualche anno. O, forse, i volti di un’altra generazione.
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