Perché in Turchia uccidere i cristiani non è reato
di Carlo Panella
Non c’è stata e non ci sarà indignazione in Turchia, non c’è stata e non ci sarà indignazione nella grande umma musulmana per il massacro dei cristiani di Malatya. Uccidere cristiani che si siano macchiati della colpa vergognosa di fare proselitismo, non solo non è reato, ma è cosa lecita e doverosa per la mentalità di molti musulmani, moltissimi, la maggioranza. La strage di Malatya, il rito abramitico blasfemo celebrato dagli assassini è solo un nuovo passo, l’ennesimo, di un inarrestabile progredire dello scisma musulmano che si è radicato in due versioni differenti nell’Islam sunnita con i salafiti-wahabiti e in quello sciita con i khomeinisti. Uno scisma basato sul culto della morte –i cinque assassini sgozzatori bramavano essi stessi il martirio e sono sicuramente delusi di non averlo meritato- a celebrare una liturgia oscena che riconosce il momento salvifico solo e unicamente nel sacrificio umano, di sé e degli infedeli.
In pieno ventunesimo secolo, la distorta modernità dell’Islam ripropone il sacrificio umano come momento centrale di una teologia dell’Apocalisse e riesce a farlo, nel disinteresse della umma musulmana, perché a quella la lega una perversa concezione dell’Islam quale “religione naturale” dell’uomo. I moderati musulmani di questo sono convinti: non solo che l’Islam sia l’unica vera religione – come è ovvio- ma anche e soprattutto che essa sia la “religione naturale” dell’uomo, per cui, chi tenta di distogliere il musulmano dalla sua fede infrange il diritto naturale, l’ordine naturale.
Questa follia teologica totalitaria non è solo patrimonio del fondamentalismo, ma anche dell’Islam moderato, tanto che è stata elaborata e definita nella Dichiarazione Islamica dei Diritti dell’Uomo che tutti i paesi musulmani hanno promulgato nel 1990, quale summa del pensiero politico delle più grandi menti teologico-giuridiche del mondo musulmano ufficiale, anche di regime, i “moderati” in prima fila.
Solo avendo presente questo scabroso retroterra religioso, si può capire perché allora la Turchia è divenuta cristianofobica, come ha denunciato nel 2005 il vescovo Farhat, nunzio apostolico ad Ankara, perché tanti cristiani vi vengono uccisi, perché i musulmani turchi e di tutto il mondo “moderato” non si indignano. La cristianofobia è sempre più di moda nel mondo musulmano, perché l’intero suo sistema di valori teologici nel secolo scorso è stato restaurato, dopo la caduta del Califfato, avendo come riferimento ibn Taymmyya, teologo del XIII secolo violentemente anticristiano e perché la società islamica non riesce a produrre secolarizzazione.
Basti pensare che la laica Algeria - il cui regime piace tanto chissà perché a Gad Lerner - ha varato una legge che punisce con 2 anni di prigione e 10.000 euro di multa chiunque faccia proselitismo presso i musulmani. Prova provata di come l’Islam rifiuti il confronto e punti all’egemonia basandosi sulla coercizione e sulla violenza, nella dimensione della “conversione con la spada”, denunciata da Benedetto XVI° a Ratisbona.
Ci sono ragioni, naturalmente, per cui questa cristianofobia si esprime con tale violenza nella società turca. Non perché, si badi bene, sia frutto di un forte radicamento di massa dei fondamentalisti (che sono ultra minoritari, rispetto ad esempio alla stessa società algerina), ma proprio perché la partita decisiva tra l’Islam secolarizzato, la laicità e il fondamentalismo musulmano si svolge proprio in Turchia. L’unico paese musulmano democratico del Mediterraneo è oggi al centro del confronto di tre forti correnti politico-culturali: il nazionalismo laicista incarnato dai militari, l’islamismo secolarizzato delle confraternite Benktashi, il fondamentalismo moderato incarnato da Tayyp Erdogan. Nelle crepe di questo scontro, si inserisce il terrorismo violento vuoi di matrice musulmana, vuoi di matrice nazionalista (i Lupi Grigi), vuoi di matrice etnica (il Pkk di Ocalan).
Purtroppo, il male antico delle società islamiche, la debolezza culturale e sociale delle élites dirigenti che produce corruzione a livelli cosmici, ha portato nel corso degli anni ottanta e novanta alla crisi più totale dei partiti politici laicisti e delle due loro leadership, incarnatesi dal 1969 in poi in Escevit e Demirel. La frantumazione della rappresentanza politica della Turchia laica, moderna ed europea, che è socialmente ed economicamente enorme (rispetto agli altri paesi musulmani), ma che non supera un terzo del corpo della nazione, ha permesso l’egemonia del fondamentalismo moderato dell’Akp di Erdogan; Nel 2002 infatti, questo partito islamista, grazie ad una legge elettorale sciagurata è riuscito ad avere 2/3 dei seggi parlamentari con solo il 34% dei voti. Solo un partito laico ha superato l’incredibile soglia di sbarramento del 10%, disperdendo così il peso del 56 % dell’elettorato.
Sbilanciata verso l’islamismo, consegnata a Erdogan dall’implosione dei partiti laici corrottissimi e incapaci di proposte politiche adeguate, la Turchia di oggi sente crescere a oriente l’enorme massa critica dello scisma parafascista iraniano, si sente minacciata dall’instabilità crescente dell’Iraq delle stragi, e registra con sorpresa il rigetto dell’Europa, cui pure gli stessi islamisti di Erdogan si erano rivolti. Un rigetto insulso, perché non motivato da una valutazione nel merito dei costi e benefici politici dell’inclusione della Turchia nell’Ue, ma essenzialmente prodotto dalla reazione negativa di tanta parte delle società europee nei confronti dell’immigrazione islamica, senza distinzioni. La Turchia è un immenso “idraulico polacco” coi baffi, nell’immaginario di tanti francesi (che appunto temendo il povero artigiano votarono contro la Costituzione europea) con l’aggravante di un retaggio storico di aggressione e incomprensione. Così è anche per tanti tedeschi, italiani e spagnoli.
Tutte queste dinamiche di radicalizzazione, nei prossimi mesi, sono destinate ad accentuarsi perché in Turchia si deve eleggere il presidente della repubblica ad Ankara e Erdogan può decidere da solo, con i suoi soli voti, chi sarà, mentre i laici non hanno la rappresentanza parlamentare per contrattarla e si devono limitare a manifestare nelle piazze e a chiedere la pressione dei militari. Subito dopo si andrà al voto per le politiche e Erdogan sa bene che può rischiare l’emarginazione politica, se solo il fronte dei partiti laici saprà riorganizzarsi e darsi immagine e programma (ma soprattutto leadership pulite).
Una enorme massa tettonica, ha dunque accelerato i suoi movimenti dall’Anatolia ai Dardanelli. Nei suoi stridori di faglia si aprono voragini infernali di magma. Da lì escono i cultori di un nuovo credo blasfemo che ambiscono solo alla morte, con un bottino di morte.