A proposito della partecipazione di BERLUSCONI ai lavori della prima giornata del congresso dei DS a Firenze e della impegnativa dichiarazione di Fassino che, evidentemente riferendosi a Berlusconi, ha detto che in politica ci "sono avversari e non nemici", pubblichiamo un commento che condividiamo. Salvo, ovviamente, verificare se quanto detto da Fassino sia estensibile in tutta Italia e in ogni tempo. Non vorremmo che passata l'euforia congressuale e incassati gli elogi del caso , si continui come sempre a considerare nemici da bruciare sul rogo gli avversari che non si pieghino alle prepotenze che si consumano da parte di chi gestisce il potere. STAREMO A VEDERE.
Neppure il più intransigente dei critici può catalogare quel che è successo a Firenze, nella prima giornata del congresso dei DS, come sottolineato teatrino della politica… Non i padroni di casa che ne hanno tratto giovamento nella metamorfosi che ha imposto il distacco della corrente più radicale e neppure il protagonista esterno: quel Silvio Berlusconi che ieri in Toscana ha inaugurato una nuova fase politica a tutto campo.
Ha incassato applausi (veri) e un consenso indiretto ma calcolato proprio nella tana del lupo. Tana in cui ha scelto, non a caso, di chiarire per la prima volta in modo inequivocabile la sua posizione su Telecom! Come quegli attori non protagonisti – dato che non era suo il film di Firenze – che vincono l’Oscar surclassando sulla scena divi dello schermo dal copione più lungo. E il regista immaginario che ieri ha offerto lo spettacolo di Firenze potrebbe replicare oggi nelle sale della Margherita a Roma.
La metafora non è esagerata se non per difetto. Fassino ieri ha riconosciuto a Berlusconi, e per suo tramite alla grande maggioranza degli italiani, la fine della diversità comunista: non più nemici ma avversari! Non più insulti ma competizione, rispetto, quindi la fine del Berlusconi da abbattere ad ogni costo, quello per cui ogni alleanza contraria è giustificata come è successo nell’ultima gara elettorale.
Fassino, D’Alema e Veltroni (non Mussi, non Di Pietro, non Diliberto e neppure i Verdi e la squadra di Bertinotti) hanno voluto dire sì a Berlusconi-avversario per togliesi definitivamente la veste di faziosi, di ideologicamente prevenuti, insomma di vetero-comunisti. Senza quel passaggio, senza quegli applausi sotto i riflettori, senza quel tributo plateale non sarebbero stati credibili né ieri, né oggi a Roma, né domani nelle urne.
Ma il leader azzurro ha finito per incassare più di quanto gli ospiti fossero disposti e interessati a concedere. Magari esagera chi oggi scrive che darebbero più volentieri a lui che a De Benedetti la tessera numero 1 del Partito Democratico, però coglie un’atmosfera che era ieri tra i delegati e che risponde alla novità che Berlusconi rappresenta nel Paese. Non solo e non più (esclusivamente) nel centrodestra.
Ed è di questo che Fini, Bossi ma soprattutto Casini dovrebbero prendere atto. Se c’è qualcuno, della loro stessa parte, che si può permettere un gioco a tutto campo, che può vincere in casa e fuori, questo è Berlusconi. Non è piaggeria, solo fatti: quel riconoscimento esplicito al bipolarismo che il Partito Democratico rappresenta e che Fassino ieri ha evidenziato tra gli applausi del nostro leader, sono l’esempio chiaro che la svolta italiana del ’94 aveva bisogno di un protagonista accettato. A Firenze questo riconoscimento, tardivo ma suggellato dall’ufficialità di un Congresso, c’è stato e segna un tempo nuovo.
In fondo anche il sentiero stretto della riforma elettorale può risultarne agevolato. E se tra ieri e oggi Berlusconi “benedice” ciò che nasce a sinistra, tocca agli altri leader che contro questa sinistra vogliono vincere, serrare le fila.
Più presto lo faranno, più si mostreranno convinti nel farlo, più risulteremo competitivi e Berlusconi stesso si renderà conto che l’eredità bipolare matura, scaturita dalla sua discesa in campo, ha bisogno di un salto di qualità.
In questa luce, anche il tema delle nuove leadership che investe il Partito Democratico può offrire spunti al centrodestra.
Ricordiamoci che la cosa su cui Berlusconi ha patito di più negli anni della sua presidenza del Consiglio era quella di non essere riconosciuto e accettato, grazie alla campagna denigratoria della sinistra che a Firenze lo ha applaudito, come presidente di tutti gli italiani. Ma anche il teatrino, qualche volta diventa Teatro.