di Gian Marco Chiocci
Napoli - Quattro ore d’interrogatorio. E non passa la paura. Quando Di Pietro esce dagli uffici della procura di Napoli, regala ai cronisti inzuppati di pioggia sorrisi e battute. Sembra sereno, soddisfatto. Ma così non è. E non solo perché svicola di fronte alle domande più impertinenti dei giornalisti («le hanno chiesto della fuga di notizie? Come faceva a sapere delle indagini? È imbarazzato per quel che sta accadendo? In che posizione è suo figlio? I suoi rapporti con il provveditore Mautone?») bensì perché ha appena saputo che il rampollo di famiglia, intercettato mentre chiede favori al provveditore di Campania e Molise, è ufficialmente iscritto nel registro degli indagati. Lo sa, ma dice di non saperlo: «Non ho la minima idea». E poi con la stampa gioca subito d’anticipo, come se fosse lui a chiedere agli ex colleghi di indagare su Cristiano: «Ma a prescindere, dico che bisogna indagare. Si faccia un’indagine a tutela. C’è il riserbo istruttorio, non posso dire niente. E comunque ho chiesto alla procura di indagare, e la procura doverosamente dovrà indagare, senza alcun riguardo per nessuno. Non vogliamo che ci sia alcuna riserva nei confronti di parenti, figli compresi, ed esponenti di partito». E poco dopo: «Nei confronti di mio figlio non c’è niente di più di quanto riguarda tutti gli altri. Da ex magistrato e da persona che conosce come vanno i fatti, so che ogni notizia di reato per definizione deve avere un accertamento. Loro lo faranno, ma io ho chiesto che si faccia, perché abbiamo interesse che ci sia un’indagine anche sulle telefonate per differenziare i comportamenti corretti da quelli scorretti».
Microfoni, flash e telecamere lo costringono a parlare sempre più a ridosso del muro. Sorride sempre meno, Tonino. La prende alla larga, parte coi ringraziamenti alla categoria: «Nel rispetto del segreto istruttorio posso dire che i magistrati ci mettono tutta la buona volontà e con una realtà fattuale che è conseguenza di Mani pulite. Ai nostri tempi era più facile scoprire reati che erano più eclatanti, oggi si usano mezzi leciti per fini illeciti. Ai pm di Napoli va il massimo sostegno e la massima serenità nel loro lavoro, perché quando ho visto quegli uffici pieni di faldoni per terra e le stanze strapiene dove non si può nemmeno passare, io penso che in un Paese normale bisognerebbe citare a giudizio il ministero della Giustizia con riferimento a sicurezza e serenità del lavoro». Sì, certo. Ma i suoi rapporti con Mautone? La storia del trasferimento, l’episodio dell’estate del 2007. Di Pietro sorride ancora, si fa scuro per qualche secondo solo quando sente riecheggiare la parola «talpa», dopodiché torna sereno fissando la telecamera più vicina: «Voi insistete a parlare di Mautone ma non è solo di Mautone che bisogna parlare. Carte e documenti alla mano, ho messo in condizione la procura di ricostruire i fatti, perché io, responsabilmente e doverosamente, nell’estate del 2007 ho trasferito non solo Mautone, ma decine di decine in altre sedi o provveditorati perché evidentemente si erano verificati fatti e circostanze per cui al ministero, non solo io, c’era interesse a effettuare tutto ciò. Chiedete a loro. I fatti che riguardano i trasferimenti e che ho documentato hanno trovato formidabile riscontro nella lettura incrociata dei documenti con le intercettazioni. Chi come me ha messo in piedi attività per contrastare la corruzione, se c’è una telefonata poco chiara che riguarda un familiare ancora di più chiede che si indaghi. E ho avuto riscontro di una magistratura serena».
L’incalzare delle domande porta Tonino a cambiare registro. Sorride meno quando volge lo sguardo e l’eloquio «a chi fa giornalismo per fare altra attività». Immaginando che «non siano presenti certi giornalisti (chissà a chi si riferisce, ndr)» ricorda che «l’indagine di Napoli non riguarda l’indagine su mio figlio ma ben altre e grossissime vicende. Vi prego di non trasformare stuzzicadenti in trave e la trave in pagliuzza». Sì, va bene. Ma l’Idv, da questa storia, avrà danni d'immagine? Di Pietro si volta di scatto, un ghigno benevolo anticipa la risposta: «I danni della politica derivano dal fatto che si criminalizza prima di accertare i fatti. In questo caso non me la prendo con l’informazione che racconta correttamente i fatti e con i magistrati che indagano». Il tempo di finire la frase e parte la domanda successiva. Scusi, Di Pietro, ma lei ha chiesto a suo figlio di interrompere i contatti con Mautone? Sbuffa, Tonino. «Guardi, i fatti che hanno portato... sono stati tutti riferiti all’autorità giudiziaria». Non trova tempo per dire altro, se non che «invece di criminalizzare i magistrati lasciamo che facciano un’indagine ad ampio raggio». Arduo capire a chi si riferisce. «Adesso basta, grazie arrivederci». Slalom tra i cronisti alla ricerca dell’Alfa Romeo che lo riporterà a Roma. La macchina è nel parcheggio ma non si trova. Dentro c’è Silvana Mura, la tesoriera del partito. Sembra avere l’espressione preoccupata. Lui continua a sorridere.